Comunismo

Posts written by Alaricus Rex

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    CITAZIONE
    Molotov non le leggeva le aberrazioni presenti nelle riviste di economia, filosofia ecc. dell'epoca?

    Le leggeva e le criticava di continuo, ad esempio: https://marxismo-leninismo.forumfree.it/?t=78956568
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    Molotov sull’autofinanziamento


    Ho appena letto l’articolo di Rudnev, ministro della fabbricazione di strumenti e delle attrezzature di comunicazione. Questo è l’unico ministero convertito su basi di autofinanziamento dal 1970. Ritiene opportuno che gli altri ministeri eseguano la conversione. Ma io lo reputo un’iniziativa pericolosa. Autofinanziamento nei ministeri? Interi ministeri? L’approccio è totalmente sindacalista. Ma l’autore, benché ministro egli stesso, è assolutamente ignorante. Non si preoccupa degli aspetti ideologici e politici di una simile impresa. Descrive soltanto i possibili benefici, non una parola sulle perdite, non una sola osservazione critica.

    Nel suo rapporto al XXIV Congresso del partito [1971] Kosygin ha affermato di passaggio che l’autofinanziamento è necessario, il che significa da estendere ancora di più. A mio avviso questo è molto pericoloso.

    Ma dov’è il pericolo?

    Il pericolo? In tutta l’esistenza dello Stato sovietico abbiamo avuto un solo ministero convertito all’autofinanziamento. L’autofinanziamento cresceva dal basso – dalle fabbriche e dagli stabilimenti fino al cosiddetto trust industriale. Ora come in passato, abbiamo alcuni ardenti campioni dell’autofinanziamento a livello di officina, ma non è mai stato permesso a un intero ministero di convertirsi all’autofinanziamento. Perché? Perché non c’è sorveglianza su chi va in cerca di profitti con ogni mezzo. Se c’è un controllo al vertice, può frenare in certa misura questo impulso. Ma se tutti dal basso in alto sono mossi dal profitto? Tutti saranno trascinati nella corsa ai profitti. Chi allora li rimetterà in riga? Se tutti inseguono i profitti ad ogni costo, e attraverso i profitti bonus, e tutti dal basso in alto sono mossi così, non c’è leva che possa moderare questo impulso, porgli dei limiti e bloccare vari tipi di eccessi. E non c’è una parola sugli svantaggi dell’autofinanziamento. Credo che non soltanto incorrerà in perdite, rafforzerà anche gli elementi di corruzione. Senza sorveglianza, tutti rincorrono la stessa cosa.

    L’autore è semplicemente ottuso. È ignorante in teoria e manca di percezione politica. I fautori dell’autofinanziamento guardano ogni cosa da un punto di vista utilitario. Ma questa è una questione di principio. Se ora si permette a tutti i ministeri di passare all’autofinanziamento – e l’autore, dopotutto, vuole che gli altri ministeri eseguano la conversione – che cosa accadrà allora? Tutti saranno alla ricerca del proprio utile, prima di tutto dei profitti. I ministeri saranno molto probabilmente trasformati in monopoli – un monopolio delle costruzioni, un monopolio del carbone e così via. Ecco a che cosa conduce.

    [15 agosto 1972]

    La politica di autofinanziamento è semplicemente sbagliata. Dobbiamo farla finita, ma ancora le fanno pubblicità. In certi periodi è necessaria, perfino inevitabile, ma i nostri professori e dottori ne cantano melodrammaticamente le lodi al cielo.

    [28 luglio 1976]

    L’autofinanziamento nel ministero di Rudnev ha attirato l’elogio stravagante dei sostenitori della mentalità da NEP. Non essendo un comunista navigato, lui è compiaciuto da questo. Ironicamente, è venuto fuori che su certe questioni si colloca all’avanguardia. Nell’insieme ciò è positivo quando non eccede certi confini, ma dove sono questi confini? Sono contrario a convertire tutti i ministeri all’autofinanziamento, anche se molti lo hanno sognato a lungo. Questo è un regresso, secondo me, alla NEP, ma nel nostro paese la NEP è storia passata. Ma mentre imponiamo limiti sempre più stretti alla NEP, non vi abbiano ancora rinunciato appieno. Altrimenti il progresso verso l’eliminazione delle classi sociali sarebbe impossibile. Ma se tiriamo su le barriere che delimitano i ministeri e le singole entità economiche, ci volgeremo in una direzione diversa da quella che noi stessi abbiamo tracciato.

    [3 novembre 1983]

    Secondo Chruščëv, ora [1983] dovremmo avere trasporto gratuito, pasti gratuiti, farmaci gratuiti e simili… Ha dimostrato di non comprendere il significato del socialismo. Non è soltanto la fornitura di beni e servizi. È un lungo periodo durante il quale ogni cosa è regolata, calcolata e consumata in linea con un piano definito. È un intero periodo destinato a preparare il paese per la transizione dal socialismo al comunismo.

    In linea di principio l’idea di autofinanziamento non sarebbe cattiva, ma noi non siamo pronti. Il processo non è andato oltre un solo ministero. Il ministero è un apparato amministrativo, ma di fatto è amministrato con difficoltà. Ecco perché non siamo riusciti a convertire tutti i ministeri al sistema di autofinanziamento.

    [3 novembre 1983]

    Ciò a cui fate riferimento come “incentivi materiali” Lenin lo chiamava metodo capitalista. Posso cercare e leggervelo – tengo quel volume a portata di mano. Voi sottovalutate questa dimensione…

    “Stiamo costituendo delle società miste…” Qui si riferisce all’unione di elementi socialisti e capitalistici. Tali società erano praticamente inesistenti allora. Stavano solo emergendo appena. “Società miste le quali, come tutto il nostro commercio statale e tutta la nostra nuova politica economica, sono l’applicazione, da parte di noi comunisti, di metodi commerciali, di metodi capitalistici”. Vedete, chiama tutto questo “metodi capitalistici”. Ma essi erano necessari, come si dice.

    Ma non ce ne siamo mai allontanati.

    È proprio questo il punto. Questo bisogna capire. È proprio ciò che Chruščëv e la sua risma non capiscono. Pensano in modo borghese. Sfortunatamente la nostra letteratura su questa questione rimane scarna. Nessuno se lo ricorda, ma Lenin ne ha parlato parecchie volte. “Qui viene a stabilirsi nella pratica la competizione fra i metodi capitalistici e i nostri…”

    [20 agosto 1974]

    — F. Čuev, Molotov Remembers, Ivan R. Dee, Chicago 1993, pp. 369-371.
  3. .

    IL SOCIALISMO È UNA SCIENZA

    Dissertazione pubblicata sul Rodong Sinmun, organo
    del Comitato centrale del Partito del lavoro di Corea

    1º novembre 1994

    Il socialismo è una scienza. È fallito in diversi paesi, ma nondimeno sopravvive come scienza nel cuore dei popoli. Gli imperialisti e gli altri reazionari parlano a gran voce di «fine del socialismo», in riferimento alla situazione venutasi a creare in alcuni paesi che lo costruivano. I rinnegati del socialismo cercano invece di giustificare i loro spregevoli atti di tradimento accampando la falsità delle stesse idee socialiste. E tuttavia la verità non può essere occultata o distrutta. Il crollo del socialismo in vari paesi non attesta il fallimento del socialismo inteso come scienza, bensì il discredito dell’opportunismo che l’ha corrotto. Temporaneamente messo a dura prova dai dolorosi rovesci causati dall’opportunismo, il socialismo risorgerà senza il minimo dubbio e finirà comunque per trionfare, con la sua scientificità e la sua verità.

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    Il socialismo è l’ideale e la bandiera rivoluzionaria delle masse popolari che lottano per l’indipendenza. Le masse conquistano l’indipendenza per mezzo del socialismo e del comunismo.
    Nella società di classi ostili la sovranità delle masse popolari è stata oggetto di brutali violazioni. Là dove c’è oppressione, esiste resistenza; là dove c’è resistenza, scoppia la rivoluzione. Per un lungo periodo storico le masse popolari non hanno cessato di battersi per l’indipendenza; è un processo nel corso del quale si sono succedute le società di classi e la lotta delle masse popolari per l’indipendenza si è intensificata. Ma la sostituzione di una società di classi ostili con un’altra ha portato con sé solo un cambiamento di forma nell’oppressione delle masse popolari, senza condurle a liberarsi dalla soggezione socio-politica.
    Se la sovranità delle masse popolari non ha potuto realizzarsi nelle società di classi ostili, è perché tutte queste società si basano sull’individualismo, prodotto del sistema di proprietà privata. La proprietà privata e il regime basato sull’individualismo che ne risulta portano inevitabilmente alla divisione della società in classi ostili, agli antagonismi di classe e alle disuguaglianze sociali; si accompagnano allo sfruttamento e all’oppressione delle masse popolari da parte di una classe dominante minoritaria. La storia mostra che la sovranità delle masse popolari non può divenire realtà in una tale società. Per realizzarla, bisogna passare dalla società fondata sull’individualismo a quella basata sul collettivismo, alla società socialista e comunista: questo è il bilancio storico dello sviluppo della società umana.
    Il capitalismo ha trasformato l’individualismo nella cupidigia illimitata di un pugno di capitalisti, esacerbando le contraddizioni antagoniste della società dell’individualismo. D’altra parte, la lotta per la sovranità delle masse popolari ha varcato la soglia di una nuova fase di sviluppo. Noi viviamo l’epoca dell’indipendenza, in cui le masse popolari si sono affermate come i padroni del proprio destino e dominano sul mondo. È segno che il passaggio dalla società fondata sull’individualismo alla società basata sul collettivismo è una necessità dello sviluppo storico.
    Il collettivismo è il bisogno intrinseco dell’essere umano. L’uomo può vivere e fare progressi solo se fa parte di un collettivo sociale ed opera in questo quadro. Non l’attività individuale, bensì la collaborazione collettiva dei membri della società rende possibile la trasformazione la natura e la società e soddisfa i bisogni sovrani dell’uomo. Perché l’uomo possa vivere nel quadro del collettivo sociale, bisogna soddisfare sia le aspirazioni sovrane del collettivo che quelle dell’individuo. Le aspirazioni sovrane del collettivo sono i bisogni comuni dei membri della società, relativi all’esistenza e allo sviluppo del collettivo sociale. Le aspirazioni sovrane dell’individuo sono i bisogni che può avvertire qualsiasi membro a pieno titolo del collettivo sociale, i desideri che meritano di essere esauditi dal collettivo perché contribuiscono al suo bene. Le aspirazioni sovrane dell’individuo si distinguono essenzialmente dalla cupidigia individualista, giacché essa ignora il collettivo e subordina ogni cosa all’interesse dell’individuo. Il collettivismo è il modo migliore di soddisfare sia i bisogni sovrani del collettivo che quelli dell’individuo. Le aspirazioni dell’individuo che contravvengono al collettivismo alla lunga si evolvono in cupidigia individualista, la quale pregiudica le aspirazioni sovrane degli altri membri del collettivo e nuoce all’unità e alla collaborazione al suo interno. Soltanto il collettivismo permette di rafforzare l’unità e la collaborazione in seno al collettivo, di accrescere l’energia creativa di tutti i suoi membri, di combinare oculatamente le aspirazioni sovrane sia dell’individuo che del collettivo e di soddisfarle con pienezza e simultaneità. Poiché la logica dell’esistenza dell’uomo consiste nell’agire all’interno del collettivo sociale e le sue aspirazioni sovrane possono realizzarsi con successo solo tramite il collettivismo, la società socialista e poi comunista, fondata sul collettivismo, è la società più progressiva, conforme alla natura sovrana dell’uomo.
    Certo, l’instaurazione del regime socialista non equivale all’applicazione immediata e generalizzata del principio del collettivismo in tutte le sfere della vita sociale, perché le vestigia della vecchia società sopravvivono per un certo periodo di tempo nella società socialista. La loro persistenza è un fenomeno passeggero; con lo sviluppo del socialismo, i residui della società superata scompariranno progressivamente, e in tutti i campi della vita sociale si attuerà il principio del collettivismo.
    Il socialismo è una tappa necessaria nel progresso della storia, e la società socialista è una società avanzata, perché conforme al Chajusong dell’uomo, ma il socialismo non si radica spontaneamente. Per costruirlo bisogna preparare forze rivoluzionarie in grado di farsene carico ed elaborare giusti metodi di lotta. In assenza di queste forze rivoluzionarie e di questi metodi d’azione, il socialismo al quale aspirano le masse popolari rimarrà solo un pio desiderio.
    Molto tempo fa i socialisti utopisti hanno espresso l’idea di abolire lo sfruttamento, l’oppressione, le disuguaglianze sociali e la proprietà privata che le alimenta e di edificare una società equa, fondata sulla proprietà sociale. Malgrado la compassione per la miseria delle masse lavoratrici sfruttate, non scorgevano in esse le forze rivoluzionarie in grado di affossare la società dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo e di costruire una società nuova. Ritenevano sufficiente fare appello alla «buona volontà» delle classi sfruttatrici, risvegliando la coscienza degli uomini, per correggere gli aspetti irrazionali della società capitalistica. Contare sulla «bontà» delle classi sfruttatrici, avide per natura, significa farsi delle illusioni, significa commettere un errore. Se i socialisti utopisti contavano sulla loro «bontà», era in virtù dei propri limiti storici.
    Le classi sfruttatrici e i loro accoliti hanno favorito la «collaborazione di classe» per ostacolare la lotta delle masse lavoratrici sfruttate contro lo sfruttamento e l’oppressione. In seno al movimento comunista i riformisti e i revisionisti hanno fatto altrettanto, recando così gravi danni allo sviluppo del movimento rivoluzionario. Al giorno d’oggi i traditori del socialismo, imbevuti di illusioni sopra il capitalismo e di speranze nell’«aiuto» e nella «cooperazione» degli imperialisti, portano avanti una burrascosa campagna per restaurare il capitalismo. La storia mostra che contare sulla «buona volontà» delle classi sfruttatrici o sulla «collaborazione di classe» porta al fallimento della rivoluzione.
    Il marxismo ha combinato l’aspirazione delle masse lavoratrici al socialismo con le forze e i metodi della lotta rivoluzionaria. Ha chiarito che nella società capitalista esistono delle contraddizioni tra le forze produttive e i rapporti di produzione, che esse verranno risolte dalla lotta delle masse lavoratrici sfruttate contro le classi sfruttatrici e che gli operai costituiscono l’unica classe in grado di intraprendere e guidare questa lotta di classe sotto la propria responsabilità. Il marxismo ha messo in luce l’ineluttabilità della sconfitta del capitalismo e della vittoria del socialismo, ha legato l’aspirazione della masse lavoratrici sfruttate al socialismo con le forze pratiche e i metodi autentici della lotta rivoluzionaria per realizzare quell’aspirazione; così da schema utopistico il socialismo si è trasformato in una dottrina scientifica, e un cambiamento rivoluzionario ha segnato la storia della lotta di liberazione dell’umanità.
    Nondimeno, la dottrina socialista precedente, basata sulla concezione materialistica della storia, non ha potuto evitare limiti di origine storica. Essa considerava il movimento storico-sociale come un processo storico naturale che evolve e si sviluppa principalmente sotto la spinta di fattori materiali ed economici, e non come un movimento innescato e sviluppato per iniziativa e con il ruolo attivo del soggetto: le masse popolari. Secondo la concezione materialistica della storia, quanto più si sviluppano le forze produttive sotto il capitalismo, tanto più si aggravano le loro contraddizioni inconciliabili con i rapporti di produzione e le contraddizioni antagoniste fra classi sfruttatrici e classi sfruttate, mentre crescono e si potenziano le forze rivoluzionarie, in primo luogo la classe operaia, e la maturità della rivoluzione si avvicina. La teoria classica del socialismo, che considerava essenziali per la lotta rivoluzionaria i fattori materiali ed economici, non poteva proporre il potenziamento della sua forza motrice e la crescita del suo ruolo come vie fondamentali della rivoluzione.
    Quanto all’influenza esercitata dallo sviluppo delle forze produttive nel capitalismo, non bisogna considerarla sotto uno solo dei suoi aspetti. Se questo sviluppo aumenta la polarizzazione della ricchezza, ossia l’«arricchimento» e l’«impoverimento», ed aggrava le contraddizioni di classe, esso offre ai monopolisti crescenti possibilità di usare una parte dei loro elevati profitti per placare queste contraddizioni. In più, accanto alla crescita delle fila degli operai industriali con la differenziazione dei piccoli-borghesi e in particolare dei contadini, ne risulta l’aumento della proporzione dei lavoratori intellettuali e tecnici nel settore produttivo e dei lavoratori del settore improduttivo.
    Le condizioni oggettive hanno certo un importante influsso sulla lotta rivoluzionaria. Tuttavia il fattore decisivo del suo esito non risiede in queste condizioni oggettive, ma nel potenziamento della forza motrice della rivoluzione e nella crescita del suo ruolo. Purché il motore della rivoluzione venga rinforzato e il suo ruolo accresciuto, il socialismo può vincere in qualunque paese, non importa se abbia conosciuto uno sviluppo capitalistico o no. Le realtà storiche mostrano che il socialismo ha trionfato prima in paesi relativamente sottosviluppati, non in paesi capitalistici sviluppati. L’esperienza della nostra rivoluzione che avanza sotto la bandiera delle idee del Juché conferma che il rafforzamento del motore della rivoluzione e la crescita del suo ruolo permettono non soltanto di approfittare dalle condizioni oggettive date, ma anche di volgere a proprio favore le situazioni sfavorevoli, di trasformare una congiuntura negativa in una congiuntura positiva, il male in bene, per assicurare la vittoria della rivoluzione.
    I limiti della teoria precedente, basata sulla concezione materialistica della storia, si sono rivelati ancora di più nell’edificazione del socialismo dopo il consolidamento del regime socialista.
    In generale, con lo sviluppo della società cresce il ruolo delle masse popolari, motore dei movimenti sociali, perché in pari tempo si alza il loro livello di coscienza sovrana e di capacità creative. Il ruolo delle masse popolari come motore dei movimenti sociali cresce come non mai nella società socialista. Questa società si evolve grazie alla creatività delle masse popolari dotate di coscienza ideologica elevata e unite in blocco. La trasformazione dell’essere umano, la trasformazione ideologica, è un compito primordiale, più importante della preparazione delle condizioni materiali ed economiche del socialismo, e quindi bisogna accordarle la priorità per rinsaldare il motore della rivoluzione ed accrescere il suo ruolo per condurre a buon fine l’edificazione del socialismo. Se nella società socialista si accorda un’importanza decisiva alle condizioni materiali ed economiche oggettive e se l’edificazione economica diventa l’unica preoccupazione, relegando in secondo piano la trasformazione ideologica delle masse popolari e trascurando il lavoro di rafforzamento del motore della rivoluzione e di crescita del suo ruolo, l’edificazione del socialismo nel suo complesso non può prendere una buona piega, e la stessa edificazione economica non può sfuggire al ristagno. In alcuni paesi che fino a poco tempo fa costruivano il socialismo si sono spesso riscontrare simili pratiche; i traditori del socialismo ne hanno approfittato per lanciarsi in una campagna di «riforma» e hanno commesso atti controrivoluzionari, distruggendo lo stesso sistema economico socialista.
    Se i fondatori del marxismo avevano sviluppato la dottrina socialista incentrandola sulle condizioni materiali ed economiche, ciò è avvenuto perché all’epoca era storicamente essenziale combattere la teoria reazionaria borghese che, rinfocolando il misticismo e il fatalismo, santificava il capitalismo e predicava la sua «eternità». Ed oggi i traditori del socialismo, nutriti con illusioni sul capitalismo, propugnano l’onnipotenza della materia e l’onnipotenza dell’economia per farlo rinascere.
    Porre il socialismo su nuove basi scientifiche era un compito di prim’ordine non solo per superare i limiti storici della dottrina socialista precedente, ma anche per difendere il socialismo dalle deformazioni di tutti gli opportunisti e dagli attacchi degli imperialisti.
    Questo compito storico ha avuto una brillante soluzione quando il compagno Kim Il Sung, grande leader, ha creato le idee del Juché e ha sviluppato in modo originale la teoria del socialismo alla luce di queste idee. Il venerato compagno Kim Il Sung ha scoperto il principio filosofico secondo cui l’uomo è padrone di tutto e decide di tutto, e ha stabilito la legge del movimento sociale come movimento di un determinato soggetto, riuscendo così a porre il socialismo su basi scientifiche nuove. La causa del socialismo e del comunismo illuminata dalle idee del Juché è la causa dell’indipendenza totale delle masse popolari. Il socialismo sistematizzato in modo scientifico dal compagno Kim Il Sung è un socialismo che verte sull’uomo, sulle masse popolari. Il nostro socialismo fa delle masse popolari i padroni di tutto, pone ogni cosa al loro servizio e si sviluppa grazie all’unione della loro forza. La teoria del socialismo del Juché ha determinato in modo scientifico l’essenza del socialismo e la legge del suo sviluppo collocando l’uomo al centro e, su questa base, ha affermato che per edificare il socialismo con profitto è indispensabile condurre un’energica lotta per occupare le due fortezze del socialismo e del comunismo, ideologica e materiale, in cui la priorità assoluta spetta alla conquista della fortezza ideologica.
    L’esperienza pratica della nostra rivoluzione conferma la scientificità e l’autenticità della teoria del Juché. Il nostro popolo ha intrapreso la lotta per il socialismo sotto il peso del ritardo costituito dalla società semifeudale colonizzata, e si è visto obbligato a fare la rivoluzione e a sviluppare il paese in condizioni più difficili di chiunque altro. Nonostante tutto, il nostro partito è riuscito ad aprirsi un brillante cammino verso il socialismo, perché si è impegnato soprattutto e sempre a riunire strettamente le masse intorno a sé e al leader sul piano organizzativo e ideologico, a potenziare la forza motrice della rivoluzione e ad elevare il suo ruolo, come postulano le idee del Juché. Accordando la priorità assoluta al lavoro di trasformazione dell’uomo, di trasformazione ideologica, nell’edificazione del socialismo esso ha efficacemente rafforzato la potenza politica e ideologica della nostra rivoluzione e rinsaldato la nostra economia nazionale indipendente e le nostre potenzialità militari autodifensive. Questo gli permette oggi di promuovere con successo la rivoluzione e l’edificazione senza lasciarsi minimamente scuotere nella complessa situazione odierna. L’esperienza pratica dimostra chiaramente che il nostro socialismo in cui si esprimono le idee del Juché è il socialismo più scientifico che ci sia e dà prova della massima vitalità.

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    Il nostro socialismo si basa sul concetto di uomo proprio del Juché.
    Sapere quale punto di vista e quale atteggiamento assumere nei confronti dell’uomo è fondamentale per definire da quale punto di vista e con quale atteggiamento si esamina l’evoluzione della società e lo sviluppo della rivoluzione e come li si interpreta. Il punto di vista e l’atteggiamento assunto nei confronti dell’uomo offrono il criterio di cui servirsi per giudicare la scientificità e la pertinenza di qualunque ideologia, teoria, linea o politica. Il nostro socialismo si basa sulla corretta visione e sull’originale atteggiamento del Juché nei confronti dell’uomo. Di qui il suo carattere eminentemente scientifico e veridico.
    Le idee del Juché hanno illuminato per la prima volta nella storia l’essenza dell’uomo su basi scientifiche.
    Esplicare l’essenza dell’uomo non è una semplice questione d’ordine teorico, ma un problema sociale e politico che riflette gli interessi di classe. Nel corso della storia essa ha sollevato vivaci dibattiti fra il progresso e la reazione nel campo della filosofia.
    Le classi dominanti reazionarie e i loro portavoce hanno distorto l’essenza dell’uomo nell’interesse degli sfruttatori e se ne sono serviti per giustificare il regime fondato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Tutte le polemiche filosofiche sull’essenza dell’uomo nel passato erano dominate da due visioni principali: una che vede l’uomo come un’entità spirituale, l’altra che lo considera come una forma di vita materiale. Secondo la concezione religiosa e idealistica che lo vede come un’entità puramente spirituale, l’uomo è il prodotto di qualche essere soprannaturale, misterioso, che determina anche il suo destino. La classe dominante reazionaria e i suoi portavoce si sono serviti di questo punto di vista religioso e idealistico per predicare la fatalità della situazione delle masse lavoratrici che vivono nella miseria, sfruttate ed oppresse, e la sottomissione alla sorte predestinata. L’altro punto di vista che intende l’uomo come un semplice essere naturale e biologico ignora le differenze qualitative esistenti tra l’uomo, il quale agisce sotto il controllo della coscienza e con uno scopo determinato, e gli altri esseri biologici, guidati dai soli istinti. La classe dominante reazionaria e i suoi portavoce hanno messo in campo questa concezione nel tentativo di giustificare la società capitalistica retta dalla legge della giungla. I traditori del socialismo che restaurano il capitalismo, introducendo la libertà borghese e l’economia capitalistica di mercato, si avvalgono anch’essi di un punto di vista e di un atteggiamento reazionario nei confronti dell’uomo.
    L’uomo non è né un essere puramente spirituale né un semplice ente biologico, ma un essere sociale che vive ed agisce nel quadro dei rapporti sociali che intreccia. Essere sociale, ecco la caratteristica essenziale che lo distingue dalle altre entità biologiche.
    Il marxismo ha definito l’essenza dell’uomo come la totalità dei rapporti sociali. Con questa definizione, esso ha recato un contributo storico alla lotta contro le visioni sofistiche e reazionarie che considerano l’uomo come un’entità puramente spirituale e un semplice essere biologico. Tuttavia questa definizione non fa piena luce sulle caratteristiche proprie dell’uomo né precisa con nettezza i rapporti tra l’uomo e il mondo, la posizione e il ruolo che gli spettano nel mondo.
    Le idee del Juché hanno per prime trovato una soluzione scientifica al problema delle caratteristiche essenziali dell’uomo e, su questa base, hanno definito sotto una luce nuova la posizione e il ruolo che gli competono nel mondo.
    Nel passato si sono avuti non pochi tentativi di mettere in luce l’essenza dell’uomo a partire dalle sue caratteristiche. Si è cercato, ad esempio, di definire l’uomo come un essere parlante, lavoratore e pensante. Ma questo è solo uno degli aspetti delle sue attività, le quali d’altronde sono solo manifestazioni dei suoi attributi essenziali.
    L’uomo è un essere sociale dotato del Chajusong, della creatività e della coscienza. Sono queste le caratteristiche essenziali dell’uomo.
    Il Chajusong è un attributo dell’uomo sociale che, in quanto padrone del mondo e del proprio destino, tende a vivere e a svilupparsi in totale indipendenza, senza impedimenti o restrizioni. La creatività è un altro attributo dell’uomo sociale che trasforma il mondo e plasma il suo destino in base alle sue volontà e ai suoi bisogni, con uno scopo determinato. Per quanto riguarda la coscienza, in quanto attributo dell’uomo sociale, essa determina tutte le attività che questi svolge per conoscere e poi trasformare il mondo e se stesso. Il Chajusong e la creatività sono garantiti dalla coscienza. Proprio perché agisce in modo autonomo e creativo, guidato dalla sua coscienza, l’uomo è qualitativamente diverso dagli animali che sono mossi dagli istinti. L’attività dell’uomo è un processo di manifestazione del Chajusong, della creatività e della coscienza; agire in totale indipendenza, in maniera autonoma e in modo consapevole è la logica della sua esistenza.
    L’uomo è un essere sociale dotato di Chajusong, di creatività e di coscienza grazie al suo organismo altamente evoluto, soprattutto al cervello più sviluppato del mondo di cui è provvisto, senza di cui è inconcepibile come essere sociale. Il suo organismo perfezionato è la base biologica del Chajusong, della creatività e della coscienza di cui è dotato. Non è tuttavia quest’organismo stesso a generare il Chajusong, la creatività e la coscienza. Questi attributi sociali si formano e si sviluppano nel quadro storico-sociale, attraverso le attività dell’uomo in seno ai rapporti sociali che ha intrecciato.
    L’uomo diviene in grado di forgiare il suo destino con le proprie forze perché dotato di questi attributi. Quanto agli altri esseri biologici, il loro destino dipende dalla capacità di adattarsi al contesto ambientale. Perciò fanno parte della natura, per così dire, poiché il loro destino è alla mercé dell’ambiente oggettivo. Ma a differenza di questi esseri l’uomo trasforma il mondo oggettivo in rapporto ai suoi bisogni e forgia il suo destino per conto proprio. Egli è dunque il padrone e il trasformatore del mondo. Con lo sviluppo dei suoi attributi — il Chajusong, la creatività e la coscienza, — si affermano la sua posizione e il suo ruolo di padrone e trasformatore del mondo; il quale si manifesta nella trasformazione della natura e della società sotto il suo controllo. In funzione dello sviluppo della coscienza ideologica sovrana e delle facoltà creative e dell’ascesa del ruolo dell’uomo, la ricchezza sociale si accresce e i rapporti sociali migliorano. Nel processo di sviluppo storico, senza eccezioni, ogni generazione è tenuta ad usare dapprima i beni e i rapporti sociali creati dalle generazioni precedenti, in altri termini a sfruttare le condizioni oggettive date. Certo, queste condizioni hanno un importante effetto sullo sviluppo sociale, ma sono anch’esse il frutto storico dell’attività autonoma, creativa e cosciente dell’uomo, ed è sempre l’uomo che le sfrutta e le perfeziona. Non basta trovarsi in condizioni oggettive favorevoli, l’uomo non potrà far progredire rapidamente la società se non dispone di abbastanza Chajusong, creatività e coscienza, e se non li adopera come deve. Al contrario, anche se le condizioni oggettive sono sfavorevoli, la società farà rapidi progressi se l’uomo possiede questi alti alti attributi e li adopera in abbondanza. Ciò significa che il processo storico progressivo della società è commisurato al livello di sviluppo e di mobilitazione del Chajusong, della creatività e della coscienza dell’uomo. Se nei periodi storici precedenti non è esistita una società nuova, equa, libera dallo sfruttamento e dall’oppressione, ad onta delle aspirazioni di lunga data delle masse lavoratrici sfruttate, ciò si spiega anche col debole sviluppo della coscienza ideologica sovrana e della facoltà creativa e con il loro impatto limitato. Poiché l’uomo trasforma la natura e la società e fa progredire la storia, quanto più rapidamente si sviluppano la coscienza ideologica sovrana e le capacità creative e si estende il suo ruolo, tanto più rapida sarà l’evoluzione della storia e della società, e il processo rivoluzionario e costruttivo verrà accelerato con successo. La storia dello sviluppo sociale rappresenta per così dire, in ultima analisi, la storia dell’evoluzione del Chajusong, della creatività e della coscienza dell’uomo.
    Poiché dotato del Chajusong, della creatività e della coscienza, l’uomo è l’essere più prezioso e potente del mondo. È l’unico padrone e trasformatore del mondo. Non esiste essere più prezioso e potente dell’uomo.
    I reazionari borghesi invece non lo vedono come l’essere più prezioso, ma come un mezzo di produzione materiale, come un essere insignificante, dotato solo di forza-lavoro che si compra e si vende come una merce. Non lo considerano un essere potente in grado forgiare il suo destino per conto proprio, bensì un essere inerte in balìa del denaro. Se i traditori del socialismo restaurano il capitalismo e aboliscono tutte le misure a carattere popolare emanate nel socialismo intendendo la disoccupazione e la povertà come mezzi di pressione per stimolare la concorrenza ed accrescere l’intensità del lavoro, e se adulano e prendono ordini dagli imperialisti riponendo speranze nell’«aiuto» e nella «cooperazione» dei paesi capitalistici occidentali, anziché fare affidamento sulla forza dei loro popoli, è perché hanno fatto proprio il punto di vista borghese e la sfiducia reazionaria nei confronti dell’uomo.
    Il socialismo che privilegia l’uomo si basa sui princìpi storico-sociali avanzati dalle idee del Juché, le quali hanno delucidato in modo innovativo e su basi scientifiche le leggi dell’evoluzione della società e della storia ponendo l’uomo al centro di ogni interesse. Questo socialismo antropocentrico è il più scientifico possibile perché, partendo dal punto di vista e dall’atteggiamento del Juché nei confronti dell’uomo, prevede di mettere tutto al servizio dell’uomo e di risolvere ogni problema per mezzo della crescita del suo ruolo. Il nostro socialismo difende con fermezza la sovranità dell’uomo e la assicura perfettamente ad ognuno; favorisce il rapido sviluppo della coscienza ideologica e dell’abilità creativa e le mette in pieno risalto. Esso riesce così a rinsaldare ulteriormente la posizione dell’uomo, ad estendere sempre più il suo ruolo di padrone e di trasformatore del mondo e a spingere energicamente in avanti la rivoluzione e il lavoro di edificazione.
    Le idee del Juché hanno peraltro recato nuova luce sull’essenza della vita dell’uomo e il suo valore.
    Se si considera l’uomo come un essere biologico, la sua vita è una vita fisica. Tuttavia l’uomo non è un essere che gode soltanto di un’esistenza fisica. Per la prima volta nella storia, le idee del Juché hanno indicato che l’uomo è un essere che gode di un’esistenza socio-politica insieme ad una vita fisica. Se quest’ultima è la vita di cui l’uomo gode come organismo biologico, l’altra è la vita che acquisisce come essere sociale. L’esistenza socio-politica è la vita propria dell’uomo come essere sociale.
    La vita fisica è preziosa per l’uomo. Essa costituisce il fondamento della sua esistenza socio-politica. In questo senso, si può dire che la vita materiale che sopperisce ai bisogni dell’esistenza fisica è destinata a soddisfare i bisogni primari dell’uomo. L’uomo non è però un semplice essere biologico, ma un essere sociale i cui bisogni materiali crescono con il progresso della società in funzione dello sviluppo del Chajusong, della creatività e della coscienza. E ciò si ripercuote a sua volta sull’esistenza socio-politica dell’uomo. Una vita materiale stabile e sana non solo provvede ai bisogni dell’esistenza fisica dell’uomo, ma funge anche da garanzia materiale per mantenere ed esaltare la vitalità socio-politica.
    Se la vita fisica è inestimabile per l’uomo, l’esistenza socio-politica lo è ancora di più. Apprezzare l’integrità socio-politica assai più dell’esistenza fisica è un bisogno intrinseco dell’uomo come essere sociale. Chi cerca solo di soddisfare i bisogni dell’esistenza fisica, trascurando invece la dimensione socio-politica del proprio essere, non può conoscere una vita onorevole, anche se riesce ad assicurarsi una vita materiale ricca, giacché essa risulta difforme e anormale al punto di sfociare nell’animalità, in contrasto con la natura umana.
    La sovranità è vitale per l’uomo. In quanto essere sociale sovrano, egli rivendica una vita indipendente, libera da qualsiasi soggezione e da qualunque costrizione. Condurre una vita indipendente significa difendere la posizione ed esercitare i diritti di padrone del mondo e del proprio destino. Soltanto allorché vive come essere sociale, esercitando i suoi diritti sovrani e concretizzando le sue aspirazioni sovrane, l’uomo può godere di una vita degna e attingere alla vitalità socio-politica. Privato della sovranità e succube degli altri, ancorché in vita, egli non si distingue da un morto sul piano sociale e politico. Il desiderio dell’uomo di vivere nell’indipendenza si realizza, prima di tutto, attraverso la vita politica sovrana. Sottomesso sul piano sociale e politico, va da sé, egli non può godere di una vita sovrana.
    Poiché la dimensione socio-politica è la più preziosa per l’uomo, condurre una vita di valore significa garantirsi l’integrità sociopolitica e metterla a frutto. È dal collettivo sociale che l’uomo riceve la vitalità socio-politica di cui il collettivo è madre. Pertanto il valore di una vita dipende dal modo in cui l’uomo si integra nel collettivo sociale; e questa vita si rivela degna solo nella misura in cui è nobilitata dal suo amore e della sua fiducia; se si viene abbandonati, l’esistenza non avrà alcun valore. L’individuo conquista l’amore e la fiducia del collettivo sociale quando lo serve con lealtà, ponendo i suoi interessi al di sopra dei propri. In ultima analisi, la vita più degna ed intensa è possibile solo quando l’uomo conduce una vita sovrana e creativa, circondato dall’amore e dalla fiducia del collettivo sociale, unendo il proprio destino alle sorti della comunità e servendola con abnegazione. Ecco il modo di fare onore all’esistenza sociopolitica dell’uomo e di vivere con la dignità propria dell’essere sociale.
    Se al giorno d’oggi i reazionari borghesi e i traditori del socialismo reputano normali lo sfruttamento e il dominio dell’uomo sull’uomo, e considerano l’uomo come un essere inferiore che cerca solo di soddisfare i suoi desideri materiali, bisogna scorgere una delle manifestazioni incontestabili del carattere reazionario della visione e dell’atteggiamento borghese nei confronti dell’essenza della vita umana e del suo valore.
    L’autentica vita umana, che consenta a ognuno di mettere a frutto la preziosa vitalità socio-politica e anche di soddisfare in pieno i bisogni dell’esistenza fisica, è possibile solo nella società socialista basata sul collettivismo. In una società siffatta, liberi da ogni forma di sfruttamento, di oppressione, di dominio e di soggezione, gli uomini conducono attività sovrane e creative in tutti i campi, soprattutto sul piano politico-sociale. Perché gli uomini nella società socialista possano vivere una vita sovrana e creativa, con coscienza elevata e grandi abilità proprie dei padroni della società, bisogna organizzare con cura le attività militanti e ideologiche e la vita culturale. L’uomo può fornire un contributo efficace alla società e al collettivo e godersi una vita di grande valore come orgoglioso membro della società e del collettivo solo quando si sarà armato di un’ideologia sovrana e avrà acquisito abilità creative multilaterali attraverso queste attività rivoluzionarie e questa vita culturale sana e feconda.
    Il nostro socialismo è un vero socialismo antropocentrico, perché privilegia l’uomo e materializza alla perfezione i suoi bisogni intrinsechi, sicché al suo interno tutti gli uomini possiedono l’integrità socio-politica e la mettono a frutto, e soddisfa con pienezza i bisogni dell’esistenza fisica. Questo ordinamento sociale consente a tutti i membri della società di lavorare al servizio del collettivo, dando prova di elevata coscienza ideologica e di grandi facoltà creative, e di vivere in armonia, circondati dall’amore e dalla fiducia della società, godendo in pieno di una vita degna ed esaltante.

    3

    Il nostro socialismo è basato sulla visione e sull’atteggiamento del Juché nei confronti delle masse popolari.
    Il socialismo trova la manifestazione della sua veridicità e del suo valore nel sostegno e nella fiducia che in esso ripongono le masse popolari. Il nostro socialismo è il più potente e vantaggioso perché, forte del sostegno assoluto e della fiducia delle masse popolari, si basa sulla visione e sull’atteggiamento del Juché nei confronti delle masse popolari.
    Esse sono il soggetto della storia. Per masse popolari si intende una comunità sociale composta essenzialmente dai lavoratori, uniti dall’identità dei loro bisogni sovrani e delle loro attività creative.
    In una società divisa in classi il termine masse popolari riveste un carattere classista. La società fondata sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo si divide in classe sfruttatrice e classe sfruttata, in classe dominante e classe dominata, a seconda di chi detiene i mezzi di produzione e controlla il potere statale; e le classi sfruttate e dominate sono la principale componente delle masse popolari. La composizione sociale di queste non è mai fissa, ma cambia con l’evoluzione della società e della storia. Nella società capitalistica non soltanto gli operai e i contadini, ma anche i lavoratori intellettuali e molte altre classi e strati sociali che lottano per difendere la propria indipendenza fanno parte delle masse popolari. Nella società socialista, in cui tutti gli uomini si sono trasformati in lavoratori socialisti, tutte le classi e gli strati sociali appartengono alle masse popolari. Certo, anche in questa società proseguono le manovre di un pugno di elementi ostili e nei ranghi rivoluzionari possono annidarsi dei traditori. Pertanto occorre distinguere con nettezza le masse popolari dagli elementi nocivi.
    Benché rispecchi dunque i rapporti sociali e di classe, il termine masse popolari non racchiude un concetto puramente classista. Le masse popolari comprendono nel loro seno diverse classi e strati sociali, ed è necessario tener conto delle origini sociali di ognuno per giudicare se appartiene o no alle masse popolari, ma non si tratta di un criterio assoluto. I pensieri e le azioni dell’uomo non sono soggette alla sola influenza della posizione della classe cui appartiene. Chi riceve influenze rivoluzionarie e assimila un’ideologia avanzata può servire le masse popolari, a prescindere dalla posizione sociale della propria classe di provenienza. È l’ideologia cui l’uomo s’ispira, piuttosto che le sue origini sociali, che funge da principale criterio per giudicare se egli appartiene alle masse popolari oppure no. Le idee socialiste e comuniste non sono le uniche a servire da basi ideologiche per costituire le diverse classi in masse popolari. Chiunque ami il paese, il popolo e la nazione può servire il popolo e quindi integrarsi nelle masse popolari.
    Partendo da questa visione, nelle differenti tappe della rivoluzione il compagno Kim Il Sung, grande leader, ha raggruppato in una solida forza rivoluzionaria tutti coloro che intendevano servire la patria, la nazione e il popolo, e ha portato avanti la rivoluzione e l’edificazione con successo. Il nostro partito confida negli esponenti di tutte le classi e gli strati sociali che si interessano alla rivoluzione, considerati come eterni compagni di strada della rivoluzione e non come temporanei compagni di viaggio, e li guida sul cammino del socialismo e del comunismo.
    Per loro natura di classe, gli imperialisti e gli altri reazionari si contrappongono alle masse popolari e temono lo stesso termine «popolo». Usano spesso la parola «nazione» per camuffare l’antagonismo e le contraddizioni di classe nella società capitalistica. I traditori del socialismo cercano anch’essi di dissimulare le loro manovre antipopolari con la parola «cittadino», parlando di edificare una «società dei cittadini», ecc. Spesso si assiste inoltre al cinico uso del termine «popolo» da parte dei reazionari e dei traditori. Per quanto usino quel termine, coloro che detestano il popolo, che lo tradiscono, non possono minimamente nascondere la propria natura antipopolare. «Popolo» è la sacra parola che hanno il diritto di pronunciare con orgoglio soltanto coloro che gli sono fedeli, i comunisti che combattono con la massima abnegazione per il bene delle masse popolari.
    Il compagno Kim Il Sung ha presto levato il popolo al cielo e si è curato di far inserire il termine «popolo» nelle denominazioni del nostro Stato, del nostro esercito, delle nostre costruzioni monumentali e di molte altre cose, ossia di tutto ciò che il paese possiede di prezioso e di bello. Perché privilegia tanto il popolo, il nostro socialismo è un socialismo centrato sulle masse popolari, il socialismo più vantaggioso in cui tutti i bisogni sovrani del popolo si trovano concretizzati alla perfezione.
    Le masse popolari sono i padroni di tutto nella società. Lo sono perché creano ogni cosa.
    Esse possiedono, più di chiunque altro, grandi potenze creative per la trasformazione della natura e della società. La forza e l’intelligenza di un individuo hanno dei limiti, ma le masse popolari sono illimitate. Se esiste un essere onnipotente nel mondo, è precisamente il popolo. Con la loro forza e la loro intelligenza imperscrutabile, le masse creano ogni cosa nella società, fanno evolvere la storia e progredire la rivoluzione.
    Esse trasformano la natura, sviluppano le forze produttive e creano i beni materiali. Certo, anche la classe dei capitalisti è interessata allo sviluppo delle forze produttive per trarne maggiori profitti, ma non crea beni materiali con le proprie mani. Le masse popolari producono anche le ricchezze spirituali e culturali. Non soltanto le creano direttamente, ma altresì generano pensatori progressivi, eminenti scienziati, scrittori ed artisti di talento. La classe sfruttatrice mette in campo i portavoce della sua ideologia e della sua cultura, ma le loro creazioni contaminano la vita morale e lo sviluppo sano della società. Sono le masse popolari che trasformano la società. Le classi sfruttatrici reazionarie non sono interessate a trasformare la società, bensì a mantenere e a consolidare il caduco regime di sfruttamento. La farsa della «riforma» inscenata dai governanti borghesi è destinata solo ad alleviare la crisi che attraversa il capitalismo. Solo le masse popolari, quando hanno preso coscienza di se stesse e si sono raggruppate, possono innescare la trasformazione della società nel senso del progresso. Poiché creano ogni cosa nella società, esse devono a buon diritto controllare tutto. Soltanto nel quadro del socialismo, in cui il potere statale e i mezzi di produzione appartengono al popolo, esse divengono padrone di ogni cosa nel vero senso della parola.
    Per questo motivo, in veste di padroni di tutto nella società, esse devono occupare la posizione che gli compete, esercitare i propri diritti, assolvere le responsabilità che questo ruolo comporta e godere di una vita dignitosa e felice.
    Come padroni di ogni cosa nella società, esse devono a buon diritto accedere a quella posizione ed esercitare i relativi diritti.
    D’altronde, sono questi i loro bisogni sovrani. L’indipendenza è vitale per le masse; l’accesso a una posizione sovrana e l’esercizio dei diritti sovrani costituiscono le condizioni fondamentali che ne decidono il destino. Poiché sono i padroni dello Stato e della società, esse devono occupare la posizione che gli appartiene ed esercitare i diritti che gli spettano come tali in tutti i settori della vita sociale, in particolare nella politica, nell’economia, nella cultura, ecc.
    Per difendere e concretizzare fino in fondo la sovranità delle masse popolari, bisogna formulare tutte le linee politiche rispecchiando i loro bisogni sovrani e tradurle in pratica facendo leva sulla loro forza.
    Questi bisogni costituiscono il criterio per giudicare il valore di una linea politica. La sola via che permette di evitare il soggettivismo e le vicissitudini nella rivoluzione e nella costruzione consiste nel mescolarsi alle masse popolari e nel prestare orecchio alle loro opinioni ed esigenze. Le masse sono nostre maestre in ogni disciplina. Una volta in sintesi ed erette a sistema, le loro volontà e i loro bisogni sovrani danno origine all’ideologia e alla linea politica da mettere in campo. Il partito della classe operaia è tenuto ad andare verso le masse popolari e ad ascoltare le loro opinioni e i loro bisogni prima di elaborare la sua linea politica. I quadri, da parte loro, devono cominciare il lavoro con il prendere nota dei desideri e dei bisogni delle masse. Il nostro partito ha potuto costruire il regime socialista più avanzato e farlo progredire senza sosta, anche in circostanze complesse e difficili, in quanto si è sempre mescolato alle masse popolari, ha conformato la sua linea politica ai loro bisogni sovrani e l’ha applicate fino in fondo, facendo leva sulla loro forza. È questo il segreto della marcia trionfale del nostro socialismo che non ha cessato di avanzare sulla via più scientifica, senza conoscere la minima deviazione o sbandamento.
    Per difendere e realizzare la sovranità delle masse popolari, bisogna salvaguardare con fermezza l’indipendenza nazionale.
    Praticare l’indipendenza nella politica, l’autosufficienza nell’economia e l’autodifesa in materia di sicurezza nazionale è il coerente principio rivoluzionario del nostro partito. Il nostro partito e il nostro popolo attribuiscono valore altissimo all’indipendenza del paese e della nazione; hanno gelosamente difeso la sovranità e la dignità nazionale osservando fedelmente i princìpi rivoluzionari dell’indipendenza politica, dell’autonomia economica e dell’autodifesa ad onta delle pressioni degli imperialisti e degli agenti dell’egemonismo, e oggi proseguono la marcia seguendo le proprie convinzioni e tenendo sempre in alto la bandiera del socialismo.
    Nella fase attuale gli imperialisti si immischiano brutalmente negli affari interni degli altri paesi e calpestano la sovranità delle altre nazioni, tentando però di giustificare le loro azioni arbitrarie con la scusa della «difesa dei diritti umani». Ma i diritti dell’uomo sono inconcepibili all’infuori della sovranità nazionale. In un paese sotto il dominio straniero il popolo non può assolutamente godere dei diritti umani. Per diritti dell’uomo si intendono i diritti sovrani che il popolo deve esercitare in tutte le sfere della vita sociale, soprattutto nella politica, nell’economia, nell’ideologia e nella cultura. I «diritti umani» propagandati dagli imperialisti sono invece i privilegi dei ricchi, che con il denaro possono commettere qualunque viltà. Gli imperialisti non riconoscono nemmeno il diritto dei disoccupati al lavoro, il diritto dei senzatetto e degli orfani a nutrirsi e a sopravvivere, ad esempio, come diritti umani. Coloro che privano i lavoratori del più elementare diritto all’esistenza, e che praticano una politica antipopolare, una politica di discriminazione razziale e nazionale, una politica colonialista, non hanno il minimo pudore nel parlare dei diritti umani. I più grandi nemici dei diritti umani sono gli imperialisti, che violano i diritti sovrani dei popoli ed interferiscono negli affari interni degli altri paesi con il pretesto di «difendere i diritti umani». Non tollereremo mai nessun atto di ingerenza o di arbitrio degli imperialisti che cercano con arroganza di minare la sovranità del nostro paese e della nostra nazione, noi difenderemo e salvaguarderemo risolutamente questa sovranità.
    Le masse popolari, padrone di tutto nella società, devono assolvere le responsabilità e il ruolo che questo titolo comporta.
    Così potranno difendere la loro posizione e i loro diritti di padroni. La rivoluzione e l’edificazione sono imprese per le masse e delle masse. Devono risolvere sotto la propria responsabilità e con le proprie forze tutti i problemi che sorgono in questi processi.
    Perché le masse popolari assolvano con pienezza la suddetta responsabilità e il ruolo che loro incombe, bisogna elevare la loro coscienza di padroni e a tal fine dare la priorità al lavoro di trasformazione ideologica, al lavoro politico rispetto a tutti gli altri compiti. La priorità assoluta assegnata a questo lavoro è un’esigenza intrinseca della società socialista. In regime socialista, dove le masse popolari sono i padroni dello Stato e della società, il motore principale dello sviluppo sociale risiede nel grande entusiasmo rivoluzionario e nell’elevata attività creatrice delle masse popolari, dotate di coscienza ideologica sovrana e monoliticamente unite intorno al partito e al leader. Per dare forte impulso alla rivoluzione e all’edificazione e mettere in piena evidenza il valore del socialismo, bisogna trasformare tutti i membri della società in senso comunista ed esaltarne l’entusiasmo rivoluzionario e l’attività creativa, grazie alla priorità data al lavoro di trasformazione ideologica, al lavoro politico. Pertanto nella costruzione socialista bisogna sempre adoperarsi principalmente a educare le masse popolari e ad esaltarne l’ardore rivoluzionario e il dinamismo creatore, grazie alla priorità data al lavoro di trasformazione ideologica, al lavoro politico. Non può esistere nessun altro modo efficace di accrescere il ruolo delle masse per poi dare impulso all’edificazione del socialismo. Il ricorso al denaro come stimolo dell’attività dell’uomo va contro la natura della società socialista e questo procedimento non permette di manifestare i vantaggi del socialismo. Questo metodo capitalista non soltanto sarà inefficace per dare libero corso all’entusiasmo rivoluzionario e all’iniziativa creatrice dell’uomo ma, peggio ancora, può far degenerare lo stesso regime socialista e metterlo a repentaglio. Grazie alla priorità assoluta data al lavoro di trasformazione ideologica e al lavoro politico, il nostro partito ha potuto far progredire energicamente la rivoluzione e l’edificazione e mettere in evidenza la superiorità del socialismo contando sul grande entusiasmo rivoluzionario e sull’elevato dinamismo creatore delle masse popolari. Questo zelo rivoluzionario e questa iniziativa creatrice delle masse popolari solidamente unite intorno al partito e al leader sono la sorgente della forza che permette al nostro socialismo centrato su queste masse, al socialismo più scientifico di dimostrare il suo valore e la sua invincibilità.
    Per consentire alle masse popolari di assolvere le responsabilità e il ruolo di padroni di tutta la società, bisogna accrescere la loro forza creativa. È una questione importante che richiede l’attenzione primordiale e costante nella rivoluzione e nel lavoro di edificazione. Dato che le masse popolari creano tutti i valori della società, gli esiti di questi processi dipendono dal lavoro di accrescimento della loro forza. Accrescere la forza delle masse significa sviluppare le capacità creative, senza dimenticarsi di elevare il grado di coscienza sovrana. Nella società capitalistica l’aspirazione delle masse popolari a svilupparsi senza limiti come esseri sovrani e creatori non può realizzarsi adeguatamente. Gli imperialisti e i capitalisti non hanno bisogno di esseri umani sovrani e creatori, in altre parole di esseri umani muniti di coscienza sovrana e onnilateralmente sviluppati, hanno bisogno piuttosto di docili servi, esseri obbedienti, produttori di plusvalore. Per questo motivo non lesinano gli sforzi per degradare le masse lavoratrici a schiavi del capitale, le corrompono sul piano ideologico e ne deformano le abilità creative. Soltanto nella società socialista l’aspirazione delle masse popolari a svilupparsi come esseri sovrani e creatori può essere esaudita in pieno. Il nostro partito ha istituito il miglior sistema di insegnamento socialista possibile e il sistema di studio per tutta la popolazione, gestiti a spese dello Stato e della società, in modo che tutti i membri della società siano educati come costruttori del socialismo e del comunismo a tutti gli effetti. Per questo il nostro popolo, animato dalla fiducia in sé, può dare un forte impulso all’edificazione del socialismo, risolvendo tutti i problemi a modo proprio e grazie alla propria sapienza, a dispetto delle grandi difficoltà riscontrate.
    Le masse popolari, padrone di ogni cosa nella società, devono accedere ad una vita degna e felice.
    A questo riguardo, la vita materiale è di somma importanza. Essa forma la base della vita sociale. Poiché in regime socialista le masse popolari sono i padroni dello Stato e della società, esse devono naturalmente avere accesso ad una vita materiale confortevole e colta. Fino ad oggi, con il progresso dell’edificazione economica, il nostro partito ha consolidato e sviluppato il sistema economico socialista e costruito una poderosa economia nazionale socialista e indipendente, assicurando così al paese la solida possibilità di soddisfare con le proprie risorse i bisogni materiali della popolazione. L’economia nazionale indipendente che abbiamo messo in piedi dando prova di fiducia in sé e di tenacia possiede un immenso potenziale, un prezioso capitale che garantisce a tutto il popolo una situazione materiale sana e stabile. Proseguiremo con i nostri grandi sforzi destinati all’edificazione economica del socialismo per accrescere la potenza economica del paese ed elevare costantemente il tenore di vita materiale del nostro popolo in conformità con le esigenze del socialismo.
    Il contenuto essenziale della vita degna e felice delle masse popolari risiede nel fare onore alla dimensione socio-politica del proprio essere e nel vivere con dignità, circondati dall’amore e dalla fiducia del collettivo sociale.
    Per natura il popolo aspira a vivere così, ma non è fattibile nella società sfruttatrice. Lo sfruttamento e l’oppressione dell’uomo sull’uomo sono incompatibili con l’amore e la fiducia nel popolo; tra lo sfruttatore e lo sfruttato non possono esistere autentici sentimenti d’amore e fiducia. Nella società capitalistica, col valore della personalità umana convertito in valore di scambio e soppesato in funzione del denaro e dei beni materiali posseduti, non si può parlare d’amore e fiducia nelle masse popolari. L’amore che trascende le frontiere di classe di cui blaterano i reazionari borghesi è un trucchetto volto a mascherare la natura reazionaria del regime di sfruttamento capitalista e a sfumare le contraddizioni di classe. La precedente teoria della classe operaia ha denunciato la natura reazionaria dell’amore ipocrita che trascende le differenze di classe, favorito dalla reazione borghese, e ha chiarito che nella società classista anche l’amore riveste un carattere di classe. Il carattere di classe dell’amore non presuppone per forza l’identità delle situazioni sociali nell’amore e nella fiducia reciproca. Rapporti d’amore e fiducia possono unire anche coloro che, malgrado la differenza delle rispettive situazioni sociali, lottano in comune e portano avanti attività creative congiunte per difendere la causa dell’indipendenza delle masse popolari.
    Il consolidamento del regime socialista porta all’eliminazione degli antagonismi di classe e alla sostituzione dei rapporti d’antagonismo e sfiducia tra gli uomini con rapporti d’amore e fiducia. Nella società socialista l’amore e la fiducia fioriscono fra la comunità sociale e gli individui, tra i membri della società, e si esprimono in modo sublime fra il leader e i suoi soldati. La vita più valorosa e bella unisce con legami d’amore e fiducia il leader ai suoi soldati, il partito al popolo, e trasforma tutta la società in un solo organismo socio-politico in cui tutti i suoi membri onorano senza riserve la propria dimensione socio-politica. La società che realizza questa esistenza gode della più grande solidità e della più alta vitalità possibile.
    Il socialismo centrato sulle masse popolari instaura al meglio i rapporti di coesione e cooperazione fraterna, di amore e fiducia in tutte le sfere della vita sociale, e fonda la sua politica su tali sentimenti. L’amore e la fiducia costituiscono l’essenza della politica nella società socialista in cui, da vittime della politica, le masse popolari sono divenute i suoi artefici. Noi chiamiamo politica di benevolenza quella basata sull’amore e sulla fiducia. Gli imperialisti abbelliscono la politica borghese con il paravento del «pluripartitismo» e della «democrazia parlamentare» e cercano di denigrare la politica socialista, ma non possono capovolgere la realtà. La plutocrazia borghese è una politica di oppressione e saccheggio, crudele e subdola, legata al potere del denaro.
    Perché un’autentica politica di benevolenza sia messa in opera nella società socialista, occorre un leader politico dotato di un amore senza limiti per il popolo. Il leader politico socialista deve essere competente ma, prima di tutto, deve possedere l’alta virtù di amare infinitamente il popolo. Perché la politica socialista è per sua essenza una politica virtuosa. Un leader politico incompetente può rallentare lo sviluppo della società socialista, ma un leader politico che manca di virtù umane rischia di tradire il popolo e dunque di mandare in rovina il socialismo.
    La politica di amore e fiducia nella società socialista esige che il partito al potere sia un partito materno.
    Il partito della classe operaia è l’organizzazione politica dirigente della società; per conseguenza, come gli organi dello Stato e tutte le organizzazioni della società socialista servono il popolo dipende dalla sua struttura. Edificare un partito materno è la condizione preliminare perché tali organismi e le altre istituzioni in regime socialista siano al servizio del popolo. Costruire un partito simile significa strutturarlo come un’autentica guida e il difensore del popolo, che risponde del destino delle masse popolari e si prende meticolosa cura di loro, proprio come una madre accudisce i suoi figli e li cura con amore. Nel passato il partito era generalmente considerato come un’arma della lotta di classe. Il partito della classe operaia deve certo portare avanti la lotta di classe; tutte le sue attività devono però assumere come punto di partenza l’amore e la fiducia senza limiti nel popolo. Il partito deve prefiggersi il compito primordiale di difendere gli interessi delle masse popolari e combattere coloro che cercano di lederli. Se non pochi partiti hanno perduto il sostegno e la fiducia delle masse popolari e alla fine hanno cessato di esistere, ciò è avvenuto perché non rispondevano del destino del popolo e non se ne occupavano con affetto materno, ma si erano ridotti allo stato di organizzazioni burocratiche che tenevano in pugno il potere ed abusavano della propria autorità.
    Per costruire il partito al potere in regime socialista come un partito materno, bisogna educare tutti i quadri e gli altri membri del partito nello spirito di amore infinito e di leale servizio al popolo.
    Per essere fedeli servitori del popolo, bisogna saper pensare prima al popolo che a se stessi e condividerne le gioie e le sofferenze. Servire il popolo con lealtà è un sacro dovere dei comunisti, e costituisce il valore autentico della loro vita. I rivoluzionari si iscrivono al partito della classe operaia per meglio servire il popolo, e non per interessi personali, onori o autorità. Il vero comunista, il vero membro del partito della classe operaia, è chi è pronto a faticare per primo nel lavoro e a godere per ultimo dei piaceri, ad incaricarsi dei compiti difficili e tuttavia concedere le corone agli altri. Perché gli iscritti al partito siano di questa tempra, è necessario intensificare l’educazione ideologica per spingerli a servire il popolo con abnegazione.
    Nella costruzione del partito in regime socialista come partito materno è importante trasformare scrupolosamente i quadri in maniera rivoluzionaria e combattere gli abusi di autorità, la burocrazia, le irregolarità e la corruzione nelle loro fila. Sono questi i principali ostacoli all’applicazione della politica di benevolenza nella società socialista. Il socialismo respinge qualsiasi privilegio. Una volta istituito il regime socialista, ogni classe privilegiata cessa di esistere. Finché il potere statale e i mezzi di produzione saranno nelle mani del popolo, la classe privilegiata non potrà rinascere nella società socialista. Tuttavia, se non si combattono gli abusi di potere, la burocrazia, le illegalità e le perversioni in questa società, è possibile che alcuni quadri fiacchi si lascino degenerare, si isolino dal popolo e formino uno strato a parte. Poiché tutta la politica del partito e dello Stato viene eseguita con la mediazione dei quadri, se costoro ricorrono all’abuso d’autorità e peccano di burocrazia, questa politica non manifestarsi correttamente, per quanto buona. Se i quadri esercitano privilegi, si comportano da burocrati e si abbandonano alla corruzione, il partito socialista al potere finirà per perdere il sostegno e la fiducia delle masse, e si sa che un partito privo di questo sostegno cessa di esistere. Come dimostra la lezione della storia, per il partito al potere in regime socialista, tollerare l’abuso di autorità, la burocrazia, le irregolarità e la corruzione fra i quadri equivale a scavarsi la tomba.
    Il nostro partito, fiutato il pericolo insito negli abusi di potere, nella burocrazia e nella corruzione che possono manifestarsi in seno ad un partito al potere, ha tempestivamente ingaggiato un’instancabile lotta contro queste deviazioni. Oggi i nostri quadri, ispirandosi alla parola d’ordine del nostro partito: «Al servizio del popolo!», lavorano per il popolo come servitori fedeli. Ma non dobbiamo minimamente trascurare la lotta contro quei vizi, perché gli abusi di potere, la burocrazia e la corruzione sorgono dalle vestigia delle idee caduche e gli imperialisti proseguono i loro tentativi di penetrazione ideologica e culturale per radicare le idee superate nelle nostre fila. Il lavoro di educazione e di lotta ideologica va portato avanti con vigore per estirpare completamente questi fenomeni dai quadri.
    La politica d’amore e fiducia, la politica di benevolenza praticata dal nostro partito è il fattore di base che determina il valore e l’invincibilità del socialismo nel nostro paese.
    Grazie alla politica di benevolenza praticata dal partito e dal leader, il nostro popolo onora la sua preziosa vitalità socio-politica e si gode la vita più valorosa e degna nel nostro regime socialista centrato sulle masse popolari. Tutti i membri della società formano una grande famiglia armoniosa, si fidano gli uni degli altri, si amano e si aiutano a vicenda, provano la felicità e la gioia di vivere insieme: questo è il vero tratto caratteristico della nostra società.
    Da noi tutto il popolo onora e rispetta il leader come il proprio padre e ama il partito come il grembo materno; il leader, il partito e le masse formano un unico organismo socio-politico e condividono il medesimo destino nel bene e nel male. In tutta la società regna la moralità comunista: ad esempio, alcuni si sacrificano senza esitazione per salvare i propri compagni rivoluzionari dal pericolo, altri ragazzi e ragazze sposano militari feriti al posto di difesa nazionale o si incaricano perfino di curare gli orfani e gli anziani rimasti senza supporto come se fossero i propri cari, ecc. È questo il brillante risultato della politica di benevolenza del nostro partito.
    La vitalità di questa politica non si esprime soltanto nei nobili tratti spirituali e morali del popolo, ma anche nella sua vita materiale e culturale sana ed equa che migliora da un giorno all’altro. Il nostro popolo è libero dagli assilli relativi all’alimentazione, al vestiario e all’alloggio; grazie al sistema d’insegnamento obbligatorio e gratuito e di cure mediche gratuite in vigore, ognuno continua a studiare per tutta la vita e gode di salute e longevità. Nel nostro paese lo Stato offre un impiego stabile a tutti i cittadini adatti al lavoro, assicura buone condizioni di vita a tutta la popolazione sotto la sua responsabilità, anzi veglia con cura sulla situazione dei disabili momentanei o permanenti e delle persone anziane senza supporto. I veterani rivoluzionari, i veterani di guerra, gli ex militari invalidi e le persone meritevoli conducono una vita esaltante sotto la protezione dello Stato, trattati con rispetto e amore dal popolo.
    La politica benevola del nostro partito giova ancor di più alla generazione emergente. La gioventù è la continuatrice della rivoluzione e l’avvenire della nazione. Il futuro della rivoluzione e le sorti della nazione dipendono da come si forma la nuova generazione. Di conseguenza, questa formazione non incombe ai soli genitori. Nella società capitalistica, in cui il destino della generazione emergente è commisurato alla fortuna dei genitori, essa è inevitabilmente vittima delle disuguaglianze e delle calamità sociali. Attualmente, a causa dell’aggressione e dell’ingerenza degli imperialisti e del saccheggio perpetrato dalle classi sfruttatrici, numerosi bambini e adolescenti in tutto il pianeta perdono la vita, diventano invalidi, vagano per le strade o scivolano sulla via della criminalità e del degrado, vittime di guerre, di conflitti sociali, della malattia e della fame. Non è questo il caso della nostra società socialista, in cui vige una politica di benevolenza, con lo Stato che si fa carico della formazione di tutti i membri della nuova generazione. Il nostro partito e il nostro Stato prodigano il massimo affetto e la massima sollecitudine a tutti quei giovani che studiano a piacimento grazie all’avanzato sistema di insegnamento obbligatorio universale di undici anni e ricevono le uniformi e tutto il materiale scolastico dallo Stato. Grazie al profondo amore e alla sollecitudine senza limiti del partito, del leader, dello Stato e della società, da noi la generazione emergente cresce felice, senza aver più nulla da invidiare al mondo.
    Tutte le misure politiche popolari in vigore nel nostro paese attestano la superiorità del nostro regime socialista centrato sulle masse popolari; esse scaturiscono dal sublime amore del nostro partito e del nostro leader per il popolo. La politica di benevolenza è la politica tradizionale di cui il compagno Kim Il Sung, grande leader, aveva già preparato le radici storiche al tempo della rivoluzione antigiapponese e che ha sviluppato in profondità via via che la rivoluzione e l’edificazione progredivano.
    Il compagno Kim Il Sung, leader venerato, era il padre affettuoso del nostro popolo; incarnava il sommo amore del popolo. In giovane età si è dato il motto «il popolo è il mio dio», si è sempre mescolato al popolo, ne ha condiviso il meglio e il peggio e ha destinato ogni cosa al suo bene. Nel nostro paese si è scritta la gloriosa storia di un’autentica politica popolare, la politica di grande benevolenza, perché abbiamo avuto come leader il venerato compagno Kim Il Sung che, con la sua nobile virtù, tributava un amore infinito al popolo.
    Il nostro partito continua e sviluppa senza posa le brillanti tradizioni della politica di benevolenza istituite dal compagno Kim Il Sung, grande leader. La politica di benevolenza praticata dal nostro partito è una politica di sollecitudine e fiducia illimitata: essa prodiga sollecitudine e fiducia a tutte le classi e gli strati sociali, senza distinzione. In questo senso, noi la chiamiamo politica di magnanimità. È inoltre una politica di sollecitudine e fiducia costante: il partito veglia sulla vita socio-politica di ogni persona e la guida con cura sotto la propria responsabilità; esso non tiene in disparte neppure coloro che hanno commesso degli errori, ma li rieduca e li trasforma per rimetterli sulla buona strada e vigila sulla loro vita socio-politica in modo che la onorino fino all’ultimo respiro.
    La sollecitudine e la fiducia sublime che il partito e il leader dispensano al popolo trovano eco nei suoi sentimenti di fedeltà infinita. Fin dall’antichità il nostro popolo è noto per la sua operosità nel lavoro, il suo coraggio, la sua nobile cortesia, il suo profondo senso della giustizia e del dovere reciproco. Queste eccellenti qualità fioriscono in pieno nella nostra epoca su nuove basi spirituali e morali. Il nostro popolo è profondamente grato al partito e al leader per la loro politica di benevolenza e lotta con abnegazione per ripagarne i benefici con la fedeltà. La lealtà del nostro popolo verso il compagno Kim Il Sung, grande leader, si manifesta a un livello più sublime oggi, allorché ci ha improvvisamente lasciati. La volontà immutabile del nostro popolo è di onorare in eterno il venerato compagno Kim Il Sung come il leader del nostro partito e della nostra rivoluzione tributandogli il rispetto più sincero. Ispirandosi alle istruzioni del compagno Kim Il Sung, leader affettuoso, esso lotta con ardente tenacia sotto la direzione del nostro partito per riportare nuove vittorie. Non esiste popolo più fedele al suo partito, al suo leader, più devoto alla sua patria, alla società e al collettivo. Nessun popolo ha un profilo spirituale e morale più nobile. Siamo orgogliosi di avere un popolo così coraggioso ed ammirevole. Aver formato così bene il popolo è un grande merito del nostro partito, è la clamorosa vittoria della sua politica di benevolenza.
    La politica di benevolenza propria del nostro partito è la fonte dell’unità monolitica del leader, del partito e delle masse. Questa è la più solida unità possibile, perché si basa sulla sollecitudine e sulla fedeltà, e il nostro socialismo fondato su questa unità monolitica è invincibile.
    Gli uomini di tutto il mondo ammirano il socialismo in vigore nel nostro paese, che chiamano socialismo ideale, perché è l’autentico socialismo centrato sulle masse popolari e materializza alla perfezione i princìpi della sollecitudine e della fiducia nei confronti del popolo.
    Da noi le masse popolari, che sono i padroni dello Stato e della società, occupano la posizione che loro spetta, esercitano i propri diritti legittimi, si assumono le responsabilità e che questo ruolo comporta e conducono una vita dignitosa e felice. Proprio per questo il nostro socialismo centrato sulle masse popolari è invincibile, forte del sostegno e della fiducia assoluta delle masse popolari.
    Il nostro partito praticherà sempre una politica popolare, una politica di benevolenza nel vero senso della parola, che vede le masse popolari, padrone di ogni cosa nella società, come esseri supremi e prodiga sollecitudine e fiducia senza limiti al popolo. Oggi il nostro partito e il nostro popolo devono misurarsi con un compito grave e onorevole, il compito di continuare di generazione in generazione e portare a termine la nostra opera socialista avviata e diretta finora dal compagno Kim Il Sung, grande leader. Se il nostro partito ha proceduto fino ad oggi di vittoria in vittoria contando sul popolo e facendo leva sulla sua forza, farà altrettanto in avvenire per completare la nostra opera socialista.
    Il socialismo antropocentrico, il socialismo incentrato sulle masse popolari, è il più scientifico, vantaggioso e potente in assoluto. Con la sua scientificità e la sua autenticità, il socialismo non può che trionfare.

    — Kim Jong Il, Opere scelte, vol. XIII, Edizioni in lingue estere, Pyongyang 2009, pp. 410-441.
  4. .

    Preve e il Marx “idealista”

    Articolo pubblicato su Oltre la Linea
    5 agosto 2018


    Ciò che più scandalizza il lettore marxista nell’approccio all’opera di Costanzo Preve non è questa o quella tesi sulle prospettive del presente – nemmeno le famigerate dichiarazioni “rossobrune” di sostegno al FN francese o l’amicizia con Alain de Benoist – bensì l’interpretazione generale di Marx come filosofo idealista, che si pone in consapevole e provocatoria antitesi con tutte le convinzioni più solide e radicate in quegli ambienti e dunque rischia di gettare una pesante ipoteca sull’intero lascito del pensatore torinese, di scoraggiarne lo studio e di rinfocolare i pregiudizi caratteristici di quella “cultura dei dossier” che talora giunge ad insozzare persino il fronte filosofico.
    D’altra parte i tentativi di risolvere la contraddizione trovando un linguaggio comune si rivelano vani, se non altro perché Preve e i suoi critici marxisti intendono la differenza tra idealismo e materialismo in modo alquanto diverso, privilegiando rispettivamente gli aspetti ontologici e quelli gnoseologici del problema. Quella che segue è una mia ipotesi personale sull’origine della controversia e insieme un abbozzo di possibile soluzione.
    Una delle maggiori conquiste della ricerca previana consiste nella deduzione sociale delle categorie – compito assegnato alla filosofia marxista già da Lenin, ma spesso eseguito con la zavorra del riduzionismo economico, – in contrasto con la dossografia di stampo neokantiano e soprattutto con la mania tipicamente anglosassone di riscrivere la storia della filosofia alla luce della sola teoria della conoscenza:
    «In queste storie Ockham diventa un cretino perditempo che “taglia” con il suo rasoio i ragionamenti superflui, e che sostiene che l’universale non esiste, ed esiste solo il singolare. Insomma, non c’è l’Uomo, ma solo Giovanni, Tommaso ed Annibale. Perbacco! Una vera scoperta! Che cos’è la penicillina al confronto? Il grande nominalismo medioevale, che fa da fondamento filosofico-ideologico alla protesta sociale contro la corruzione della chiesa, la degenerazione dell’ordo franciscanus e la cannibalesca brama di denaro dei mercanti e dei banchieri (destinata a vincere “alla grande” con le signorie, i principati e le compagnie di ventura quattrocenteschi), e fa da coperta ideale alla chiesa invisibile degli individui singoli che praticano veramente la paupertas e la simplicitas diventa occasione di chiacchiere insulse di perditempo che si chiedono stupidamente se esista l’universale o se esista solo il singolare! Ci sarebbe appunto da ridere, se ogni tanto la destoricizzazione e la desocializzazione del sapere filosofico non creassero “mostri”, per dirla con Goya!» (Una nuova storia alternativa della filosofia, Petite Plaisance, 2013, p. 175).
    Preve critica con grande acume i travisamenti accademici del pensiero di Ockham e di altri autori classici, ma incorre nei medesimi errori durante la sua lettura della Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, opera a suo avviso “mediocrissima” in cui Marx sembra davvero affermare che non esiste la frutta come tale ma solo mele, pere, ciliegie, ecc., di contro al famigerato “fruttivendolo idealista” della Sacra famiglia. Il nostro avrebbe assolutamente ragione se questi echi della critica aristotelica della dottrina delle idee di Platone fossero il tema dominante della Kritik del 1843 – un tema puramente gnoseologico in effetti, poiché si tratta solo di adeguare il concetto all’oggetto, sbarazzandosi dei falsi universali – senonché mi pare sfugga alla sua attenzione uno dei peraltro più celebri passi del testo marxiano: «Non è da biasimare Hegel perché descrive l’essere dello Stato moderno tale qual è, ma perché spaccia ciò che è come l’essenza dello Stato». Qui la critica di Marx non si appunta su eventuali errori nella descrizione empirica dell’ordinamento giuridico, errori riconducibili all’uso di concetti astratti per inquadrare fenomeni concreti, ma sulla sua collocazione complessiva in sede di filosofia della storia.
    Lo Stato è un monumento alla potenza dell’ideale, che mediante il diritto piega le tendenze centrifughe individuali con una forza vincolante pari se non superiore alle leggi della natura. Hegel ha il torto di estendere la portata normativa dell’idealità anche alle dimensioni eterogenee rispetto ad essa, col risultato che la storia – escluse le determinanti cause economiche e materiali che fungono da condizioni di esistenza dello spirito stesso – deve giocoforza apparirgli come l’esito di un processo logico in sé conchiuso, dell’auto-movimento dell’idea attraverso le sue molteplici contraddizioni interne; di qui le frasi fatue sulle leggi dello spirito universale e consimili. L’idealismo – almeno l’“idealismo intelligente”, secondo l’espressione di Lenin – non è quindi un’assurdità da manicomio, ma molto più sobriamente costituisce l’esagerazione di un lato reale, importantissimo ancorché non esclusivo, del processo di conoscenza, l’assolutizzazione dell’attività logico-sociale dell’uomo.
    Con ogni probabilità, Preve ha perso di vista questo messaggio più profondo dello scritto giovanile di Marx e il suo legame con le opere della maturità proprio nella foga della polemica contro siffatte banalizzazioni manicomiali dell’idealismo, proprie da chi si contenta delle esposizioni divulgative dei manuali e non ha minimamente riflettuto sul problema dell’ideale elaborato in dettaglio da autori come Eval’d Il’enkov e l’ultimo Lukács. La sua tesi su Marx come filosofo idealista nasce soltanto da questa circostanza, a modesto parere di chi scrive, sebbene il nostro abbia poi cercato di avvalorarla con i noti argomenti sulla valenza metaforica del materialismo in Marx. Un discorso analogo va svolto a proposito della lettura previana, sostanzialmente incomprensiva, di Materialismo ed empiriocriticismo: Lenin non stava (solo) rammentando a Bogdanov e compagni che l’uomo pensa col cervello, ma anche e soprattutto respingeva l’idea che l’esperienza socialmente organizzata esaurisse gli orizzonti della prassi umana.
    Superato questo scoglio iniziale, vera pietra dello scandalo per la residua comunità dei marxisti, diviene possibile accingersi più serenamente allo studio dell’opera di Costanzo Preve che, al di là delle etichette autoreferenziali cui egli stesso attribuiva ben scarsa rilevanza, rappresenta una miniera ricchissima di spunti geniali sia nell’interpretazione della filosofia del passato che nell’analisi dei problemi del nostro tempo.
    Che cos’è infatti la deduzione sociale delle categorie filosofiche di cui sopra, se non un materialismo storico articolato e complesso dove, forzando un po’ la terminologia maoista, l’idea assolve il ruolo principale e la materia detiene la posizione fondamentale? La proposta del comunitarismo quale rimedio ai danni dell’antropologia rousseauiana che ha traviato la sinistra occidentale specie dal ’68 a questa parte ricorda dappresso il movimento teorico eseguito da Kim Jong Il che, pur saldamente ancorato al terreno del materialismo dialettico, imboccò una via altrettanto “eretica”, compiendo un decisivo passo in avanti rispetto a Marx e Lenin, aprendo una nuova pagina nella storia della logica che ancora dev’essere scritta, o meglio tradotta nel linguaggio della filosofia occidentale. Sarò io il traduttore? Chissà.

    (di Francesco Alarico della Scala)
  5. .
    CITAZIONE
    Anche se personalmente condivido le spiegazioni date dal Nuovo PCI e dal Partito dei CARC per spiegare il fallimento ed il crollo del socialismo nell'URSS e nell'Europa dell'Est.

    E sono in contraddizione con quelle di Kočetov e di Kim Jong Il? Chiedo perché lessi alcuni documenti di quei partiti alcuni anni fa e non rammento tutti i dettagli del caso.
  6. .
    Fra i tanti libri da leggere per comprendere le cause del crollo del socialismo in URSS, oggi ve ne consiglio uno piuttosto insolito: Ma, insomma, che cosa vuoi? di Vsevolod Kočetov. Non un saggio storico o sociologico ma un romanzo, che tuttavia si legge quasi come un manifesto politico-culturale tanto è denso di riferimenti a persone e fatti del tempo appena trascorso (scritto nel 1969-70, è ambientato nel 1966-67), spesso citati per nome accanto a quelli della finzione letteraria, comunque ispirati a prototipi reali di facile individuazione.
    Vi ho trascritto la prima parte del capitolo 17, uno dei più sintetici e purtroppo lungimiranti rispetto alle sorti del socialismo, che consta di un significativo dialogo tra i membri della casa editrice “New World” (traduzione inglese di Novyj Mir’, nome della rivista letteraria allora diretta da Aleksandr Tvardovskij e faro del “dissenso” liberale e cosmopolita) in viaggio verso l’URSS, dove si recano per svolgere attività ideologiche sovversive sotto le mentite spoglie di studiosi dell’arte tradizionale. Del gruppo fanno parte Uwe Klauberg, un ex SS rifugiatosi in Spagna che vuole regolare i conti rimasti in sospeso col vecchio nemico sovietico e che durante la guerra aveva conosciuto Pëtr Saburov, un emigrato bianco che dopo gli avvenimenti bellici si era stabilito a Varigotti, sulla riviera ligure, sotto il falso nome di Umberto Caradonna ed era disposto a tutto per riprendere i contatti con l’antica patria cui in cuor suo si sentiva ancora legato, a prescindere dalla politica; e infine gli agenti della CIA Eugene Ross e Porzia Brown. In quest’ultima la penna di Kočetov ha fuso i tratti di due persone reali: la cremlinologa redattrice della rivista Encounter con cui egli aveva polemizzato tre-quattro anni prima ed Hélène Zamojska, la figlia dell’addetto navale francese in URSS, che trasportava all’estero i manoscritti delle opere dei famosi “dissidenti” Daniel’ e Sinjavskij. Proprio in un racconto di questo “giovane prosatore” i nomi dei poliziotti tuttofare Vitja Kočetov e Tolja Sofronov prendevano di mira lo stesso direttore del giornale letterario Oktjabr’ e quello del settimanale Ogonëk che poi ne recensì positivamente il romanzo. E il letterato fedele al partito che il Guardian provocatoriamente raffigurò come un agente straniero e un nostalgico dello zarismo è ancora una volta il nostro autore.
    Chi ha sottomano l’edizione stampata nel 1970 per i tipi di Samonà&Savelli – e se non ce l’avete vi consiglio di procurarvela su qualche sito di libri usati, perché ne vale davvero la pena! – farà certamente caso alla livorosissima introduzione di Vittorio Strada, che Kočetov volle conoscere di persona per poi satireggiarlo nella figura di Benito Spada. Questo celebre studioso di letteratura russa, all’epoca membro del Comitato Centrale del PCI, si era oltremodo alterato e, pur rifuggendo le esagerazioni alla Zorza, mobilitò tutte le armi della retorica per vituperare l’avversario, in cui denunciava «un totale disprezzo per l’uomo, una totale sfiducia per chi non è sottomesso a un legge ferrea, per chi non è guidato dalla mano dura di un despota» (p. 19). Ma l’uomo in cui Strada ripone cieca fiducia è un individuo sommamente storpio e mutilato nello spirito che, “libero” dai vincoli della normatività sociale, si abbandona al subbuglio dei sensi e si allontana sempre più dai caratteri specifici che dovrebbero distinguerlo dall’animale, – possiamo rispondere noialtri, col senno di poi. Kočetov non può farlo: nel 1973 i dolori del cancro lo spinsero al suicidio, un gesto di coraggioso stoicismo che suscitò l’ammirazione anche degli avversari. Strada invece si gode la vecchiaia e non ha smesso di interessarsi alla cultura e alla storia russa, ma ha da tempo abbandonato le vecchie convinzioni comuniste per abbracciare il liberalismo, dando ragione anche su questo a Kočetov.
    Ma i nemici del socialismo avevano fiutato il pericolo fin da subito: venti intellettuali “progressisti” avevano scritto una lettera a chi di dovere per impedire la pubblicazione di quel “romanzo oscurantista”, perché – si sa – la libertà andava concessa solo a loro. Fortunatamente non furono ascoltati e il libro innescò un vivace dibattito nell’opinione pubblica sovietica, contribuendo alla fine del “disgelo” culturale chruščëviano, sancita dal rimpasto dei quadri della suddetta rivista Novyj Mir’ nel febbraio 1970. Tuttavia il PCUS non sposò appieno la linea di Kočetov e le erbacce del revisionismo non furono estirpate del tutto; sicché, nell’apparente calma degli anni successivi, esso continuò a serpeggiare negli interstizi nella vita sovietica e riesplose alla fine degli anni ’80, realizzando i più sinistri presagi del nostro autore. Il cui romanzo può essere letto oggi come un’opera tristemente profetica, che già allora richiamava l’attenzione sui fattori del crollo che vent’anni dopo sarebbero stati al centro delle ricerche di Kim Jong Il – che vi posterò nelle prossime settimane. Buona lettura.

    Edited by Vasilij Bulatov - 24/8/2017, 23:47
  7. .
    CITAZIONE
    Quindi il plusprodotto, in una società socialista, corrisponde alle detrazioni di cui Marx parla sopra?

    Sì.
  8. .
    CITAZIONE
    Quindi esattamente allo stesso modo descritto da Marx ma senza chiamarle "tasse".

    Neanche Marx le chiama tasse perché tali non sono, visto che non si verifica nessun passaggio di proprietà. Nel quarto capitolo scrive invece: «Le imposte sono la base economica della macchina del governo e niente altro», ossia dello «Stato, in quanto costituisce un organismo a sé, separato dalla società in seguito a una divisione del lavoro», nel cui quadro esistono politici di professione o burocrati in senso sociologico-oggettivo.

    CITAZIONE
    Che cosa si intende con plusprodotto?

    La porzione del prodotto sociale che esula dalla riproduzione semplice e la cui espressione monetaria nel capitalismo va sotto il nome di plusvalore.
  9. .
    CITAZIONE
    Come fa lo Stato socialista a sostenere le spese dell’industrializzazione e dello stato sociale se non attraverso la tassazione?

    Lo Stato campa con i profitti delle imprese di sua proprietà. Non si tratta di tasse perché il plusprodotto viene direttamente incamerato dallo Stato, il quale ne lascia una parte al bilancio delle proprie aziende per l’autofinanziamento e ne spende un’altra nei servizi sociali, nella difesa, ecc. In Corea negli anni 1961-70 le detrazioni dai profitti delle aziende statali ammontavano in media al 98,1% delle entrate nel bilancio (Robert L. Worden, North Korea: a country study, Libreria del Congresso, 2008, p. 152) e fu dunque molto facile abolire le poche tasse che ancora gravavano su persone e famiglie. Anche in URSS la maggior parte delle entrate aveva questa origine ma restavano in vigore le tasse sui redditi individuali (www.resistenze.org/sito/te/cu/ur/cuurbn18-010191.htm), per quanto irrisorie rispetto a quelle pagate nel capitalismo, che servivano a mantenere l’apparato burocratico. La RPDC, che dopo gli anni ’50 ha proceduto allo smantellamento della burocrazia e non retribuisce la stragrande maggioranza dei propri politici, ha potuto invece fare a meno delle tasse in questione.
  10. .
    CITAZIONE (Josif Dzerzinskij @ 23/8/2017, 17:10) 
    Non ho ben capito. Questo era lo scritto di Kim Il Sung che dicevi di voler postare? Sinceramente, l'ho letto proprio ora, e non ho ritrovato nulla dei tuoi discorsi sul periodo di transizione, e su come esso sia diverso dal socialismo. Anzi! Kim Il Sung parla qui numerose volte di socialismo, riferendosi anche ai primi anni della RPDC!

    No, questo è un breve scritto del 1974 che ho tradotto ieri per il prossimo giorno del Songun. Il discorso sul periodo di transizione è del 1967 e lo sta trascrivendo Fiero Maoista, cui ho inviato le scansioni delle pagine per potermi concentrare sulle altre traduzioni in corso.
  11. .

    LAVORATORI DI TUTTO IL MONDO, UNITEVI!

    KIM IL SUNG

    SULLA COMPLETA
    ABOLIZIONE DELLE TASSE


    Legge approvata alla 3ª sessione della 5ª legislatura dell’Assemblea
    popolare suprema della Repubblica popolare democratica di Corea
    21 marzo 1974

    Liberare per sempre il popolo da ogni sfruttamento e da ogni oppressione ed assicurargli una vita felice sia dal punto di vista materiale che culturale è uno dei nobili compiti rivoluzionari che incombono ai comunisti, un principio fondamentale cui il partito e lo Stato della classe operaia devono costantemente attenersi nel corso della rivoluzione e dell’edificazione.
    La lotta rivoluzionaria e lo sviluppo del paese sono destinati a liberare gli esseri umani da ogni forma d’asservimento e a garantire loro una vita sovrana e creativa degna di padroni della natura e della società.
    Dopo la liberazione il nostro partito, guidato unicamente dalle grandi idee del Juché, ha vittoriosamente compiuto la rivoluzione democratica antimperialista ed antifeudale e poi la rivoluzione socialista, e ha così emancipato per sempre il nostro popolo da tutte le forme di sfruttamento e di oppressione.
    Grazie alla giusta politica e alla direzione lungimirante del nostro partito e del governo della nostra Repubblica, il nostro paese vede attualmente svilupparsi le tre rivoluzioni, ideologica, tecnica e culturale, volte ad affrancare definitivamente i lavoratori da tutti gli ostacoli della natura e della società, e realizzarsi con successo il compito storico di eliminare le sopravvivenze e le vestigia della vecchia società.
    L’abolizione completa delle tasse è una rivoluzione che permette ai lavoratori di sbarazzarsi di una di queste vestigia, una grande trasformazione che punta a realizzare un’aspirazione secolare del popolo.
    Nate con l’avvento dello Stato, le tasse hanno coesistito per millenni con la società divisa in classi, e sono servite a quelle dei governanti per mantenere il loro strumento di dominio e derubare i lavoratori.
    In passato da noi sono servite a spremere il popolo. In particolare le tasse applicate dagli imperialisti giapponesi nel nostro paese colonizzato si sono rivelate le più crudeli e assassine nella storia dei sistemi fiscali, e sono state oggetto dei lamenti e delle maledizioni del nostro popolo.
    Esso ha combattuto contro la crudeltà dell’estorsione fiscale lungo tutta la storia della società fondata sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo; in particolare non ha cessato di lottare contro tasse predatorie sotto il dominio coloniale degli imperialisti giapponesi. Tuttavia questa lotta non ha avuto successo, perché non era stata legata alla lotta politica per la presa del potere.
    Da quando la nostra rivoluzione ha cominciato ad essere diretta dalle idee del Juché, questa lotta è divenuta parte integrante della lotta rivoluzionaria contro l’imperialismo e il regime di sfruttamento e si è posta l’obiettivo di risolvere definitivamente il problema delle imposte.
    All’epoca della gloriosa lotta rivoluzionaria antigiapponese i comunisti coreani hanno lottato per porre in essere un programma fiscale rivoluzionario e popolare, com’era precisato nel Programma in dieci punti dell’Associazione per la restaurazione della patria, e l’hanno applicato magistralmente nella base guerrigliera antigiapponese, nelle zone liberate.
    Il nostro partito e il nostro potere popolare hanno applicato questo programma fiscale jucheano elaborato durante la lotta rivoluzionaria antigiapponese e concretizzato dopo la liberazione nel Programma politico in venti punti, abolendo le tasse predatorie dell’imperialismo giapponese e instaurando un sistema fiscale nuovo, popolare e democratico.
    In seguito esso ha svolto un ruolo importante nella creazione delle basi di un’economia nazionale indipendente grazie al ripristino e allo sviluppo dell’economia devastata, all’accelerazione della trasformazione socialista dei rapporti di produzione nelle città come nelle campagne, nonché nel miglioramento del benessere del popolo.
    Il governo della nostra Repubblica ha da una parte utilizzato con cura il gettito fiscale come fonte di finanziamento supplementare per l’edificazione economica e culturale del paese e dall’altra ha gradualmente alleggerito gli oneri fiscali della popolazione via via che si gettavano le basi di un’economia nazionale indipendente.
    In seguito al compimento della trasformazione socialista dei rapporti di produzione e al consolidamento delle basi per l’industrializzazione socialista nel nostro paese, la completa eliminazione delle tasse si è rivelata attuale.
    Via via che si riunivano le condizioni e le possibilità di eliminarle, il governo della nostra Repubblica ha preso una misura per abolire completamente, tra il 1964 e il 1966, anzitutto l’imposta agricola in natura che era stata fino ad allora riscossa dai contadini.
    L’abolizione di quell’imposta fu una misura storica, perché mirava ad affrancare completamente i nostri contadini dagli oneri fiscali, secondo l’esigenza delle Tesi sulla questione rurale socialista nel nostro paese; fu anche una misura epocale, perché consentiva di rafforzare l’alleanza degli operai e dei contadini, di consolidare le basi economiche delle fattorie cooperative e di accrescere rapidamente il reddito reale dei contadini.
    Abolita l’imposta agricola in natura, nel nostro paese non restava che l’imposta sul reddito e l’imposta locale, che rappresentavano solo una parte insignificante delle entrate nel bilancio dello Stato.
    Oggi, mentre il nostro regime socialista si è ulteriormente consolidato e sviluppato e la potenza della nostra economia nazionale indipendente si è considerevolmente accresciuta, abrogare totalmente le tasse era una necessità giunta a piena maturazione.
    L’8ª sessione plenaria del 5º Comitato centrale del Partito del lavoro di Corea, riflettendo questa pressante esigenza dello sviluppo sociale ed economico, ha deciso di abolire completamente le tasse, vestigia della vecchia società.
    Così il sogno del nostro popolo di vivere in un mondo esente da imposte è divenuto realtà, e il nostro è diventato il primo Stato privo d’imposte al mondo.
    Nel socialismo è legittimo abolire completamente le tasse, vestigia della vecchia società.
    Nel regime socialista l’economia statale e l’economia cooperativa socialista costituiscono la base economica dello Stato, mentre l’unità e la cooperazione del popolo lavoratore costituiscono l’elemento essenziale dei rapporti sociali. I rapporti sociali ed economici della società socialista sono la base che permette di alleggerire sistematicamente il carico fiscale della popolazione e poi di eliminarlo definitivamente.
    Per un certo tempo nel socialismo le tasse sono utilizzate solo come fonte di finanziamento supplementare per sopperire ai bisogni dello Stato e della società, come mezzo supplementare per correggere le differenze nel tenore di vita del popolo.
    L’abolizione delle imposte nel nostro paese si basa sul valore del nostro regime socialista e risponde perfettamente alle esigenze legittime dello sviluppo di quest’ultimo.
    Un importante vantaggio del nostro regime socialista che incarna in pieno le grandi idee del Juché è che lo Stato è interamente responsabile delle condizioni di vita materiali e culturali del popolo lavoratore, degli operai e dei contadini in primis.
    In questo regime tutti i lavoratori vengono retribuiti secondo la quantità e la qualità del lavoro fornito e in più godono degli immensi benefici dello Stato, che garantisce loro perfette condizioni d’esistenza essenziali, dall’alimentazione, dal vestiario e dall’alloggio all’istruzione dei figli, alle cure mediche, alle condizioni di lavoro e di riposo.
    I benefici che lo Stato accorda ai lavoratori sono l’embrione della ripartizione comunista che si estende e non cessa di svilupparsi nel nostro paese; costituiscono il pegno di un armonioso miglioramento della loro vita e della loro esistenza felice senza assilli ed ansie.
    Nel nostro regime socialista lo Stato è capace di sopperire ai bisogni della rivoluzione e dell’edificazione coi proventi del suo sistema economico socialista; inoltre assegna immensi finanziamenti alla vita del popolo per prendersene cura in modo responsabile. È dunque divenuto superfluo riscuotere dalla popolazione le imposte che sono un mezzo supplementare per soddisfare i bisogni finanziari dello Stato e della società.
    Nel nostro regime socialista ogni classe di sfruttatori ha cessato di esistere già da molto tempo, non si registrano molti scarti quanto al tenore di vita dei lavoratori e tutti conducono una vita ugualmente felice; è dunque diventato inutile mantenere le tasse, usate soltanto come mezzo per livellare il reddito degli abitanti.
    I nostri lavoratori socialisti, armati delle grandi idee del Juché e divenuti padroni della rivoluzione e dell’edificazione nel nostro regime socialista, considerano l’insieme degli affari dello Stato come i propri e vi partecipano in modo responsabile e di propria volontà.
    Animati dalla salda determinazione rivoluzionaria e dalla grande energia cosciente di padroni dello Stato e della società, essi assolvono a meraviglia il sacro dovere assunto dinanzi alla patria socialista; è dunque diventato inutile lasciar loro le imposte, vestigia della vecchia società, come dovere civico verso lo Stato.
    La potente economia nazionale socialista e indipendente da noi creata costituisce una solida garanzia materiale della completa eliminazione delle tasse.
    Sotto la saggia direzione del partito, applicando alla lettera la linea per l’edificazione di un’economia nazionale indipendente sotto la bandiera rivoluzionaria della fiducia in sé, il nostro popolo ha potuto edificare una simile economia in un periodo storicamente breve.
    La nostra industria jucheana è diventata un’industria indipendente e moderna sviluppata in modo diversificato, attrezzata con le recenti conquiste tecniche e dotata di solide basi d’approvvigionamento di materie prime, mentre la nostra economia rurale ha realizzato l’irrigazione e l’elettrificazione e procede ai lavori agricoli con la forza delle macchine e della chimica, diventando un’agricoltura socialista evoluta.
    La nostra economia nazionale indipendente non cessa di svilupparsi sempre a ritmo elevato, volando con le proprie ali, per nulla interessata dalle fluttuazioni e dalle crisi economiche che imperversano nel mondo, e le finanze del nostro Stato socialista, basate su questa economia, si confermano sempre più solide.
    È grazie a questa potente economia e a queste solide basi finanziarie che, per il miglioramento del benessere del popolo, abbiamo potuto prendere l’eminente misura di abbassare sensibilmente i prezzi degli articoli manufatti e di abolire completamente perfino le imposte, pur sostenendo una lotta gigantesca per l’edificazione generale del socialismo, continuando a destinare grandi sforzi alle misure sociali e culturali ed accrescendo il potenziale difensivo nazionale con la massima intensità.
    La completa abolizione delle tasse nel nostro paese costituisce una brillante vittoria delle grandi idee del Juché, e dimostra il valore senza pari del nostro regime socialista che incarna le esigenze di queste idee come anche la potenza della nostra economia nazionale socialista e indipendente.
    Le immortali idee del Juché e la loro brillante vittoria permettono al nostro popolo di godere di un’esistenza più confortevole, sovrana e creativa che mai, in un paradiso terrestre socialista senza sfruttamento né oppressione ed anche senza imposte.
    L’epocale misura popolare presa dal nostro partito e dal governo della nostra Repubblica in favore d’una completa abolizione delle tasse inciterà più energicamente la nostra classe operaia e tutti gli altri lavoratori alla grandiosa battaglia sostenuta per l’edificazione generale del socialismo, volta a realizzare prima del termine l’immenso programma del piano sessennale e a raggiungere un gradino più elevato del socialismo, e le incoraggerà ad imprese eroiche.
    Questa misura darà più grande speranza e più salda fiducia alla popolazione sudcoreana che lotta ostinatamente, senza mai cedere ad una repressione fascista senza precedenti, per ottenere le libertà democratiche, il diritto all’esistenza e alla riunificazione indipendente e pacifica della patria.
    L’Assemblea popolare suprema della Repubblica popolare democratica di Corea, in virtù dell’articolo 33 della Costituzione socialista della Repubblica popolare democratica di Corea, delibera quanto segue:
    1. Le tasse, vestigia della vecchia società, saranno totalmente abolite.
    2. Il Consiglio d’amministrazione della Repubblica popolare democratica di Corea prenderà le misure per applicare questa legge.
    3. La legge entrerà in vigore il 1º aprile 1974.

    Edited by Vasilij Bulatov - 23/8/2017, 16:05
  12. .
    CITAZIONE (Josif Dzeržinskij @ 31/7/2017, 23:47) 
    CITAZIONE
    No, mi riferivo a quello che narra di un funzionario che scambia la musica di Glinka per degenerazione modernista. Quello che hai letto invece qual è?

    Non ricordo bene il titolo, però ricordo che lo trovai nell'Archivio Zdanov. Si parlava della musica Jazz e di quanto, secondo Zdanov, essa fosse solo chiasso.

    Allora è il famoso articolo della Pravda contro Šostakovič, che non fu scritto da Ždanov ma dal giornalista David Zaslavskij, che nel 1949 attaccherà i cosmopoliti senza radici e nel 1958 metterà alla berlina Pasternak.
  13. .
    CITAZIONE
    Ad ogni modo, piccola domanda: quello scritto di Zdanov a cui ti riferivi faceva riferimento alla musica Jazz? Perché se è così allora mi sa che ho letto quel componimento satirico.

    No, mi riferivo a quello che narra di un funzionario che scambia la musica di Glinka per degenerazione modernista. Quello che hai letto invece qual è?
  14. .
    CITAZIONE

    Di Kalinin è stata tradotta in italiano solo una breve antologia intitolata L’educazione comunista, Edizioni Gioventù Nuova, Roma, 1950.

    CITAZIONE
    Mi piacerebbe comunque leggere qualche poesia di Stalin, dato che se si parla di poesie scritte da dei comunisti ho letto solo le poesie di Mao (una delle quali si trova anche nella mia firma), ma di poesie di Stalin non ne ho mai lette. Dove posso trovarne?

    Nella biografia di Stalin redatta dal PMLI o nei libri scritti da Boris Ilizarov e da Oleg V. Chlevnjuk, nonché nell’antologia Soselo Stalin Poeta, Pasian di Prato, Campanotto, 1999. Eccone una, Mattina:

    Il bocciolo rosa si è aperto,
    rivolto al pallido blu viola
    e agitato da una brezza leggera,
    il giglio della valle si è piegato sopra l’erba.
    L’allodola ha cantato nel blu scuro,
    volando più alto rispetto alle nuvole
    e il dolce suono dell’usignolo.
    Ha cantato una canzone per i bambini dai cespugli.
    Fiore, oh mia Georgia!
    Regni la pace nella mia terra natale!
    E possiate voi, amici, rendere nuova
    la nostra Patria con lo studio!
  15. .
    CITAZIONE
    Mi pareva di aver capito che la natura umana esiste, ma che non sia una cosa fissa, ma dipenda dalla società in cui gli umani vivono.

    La filosofia marxista-leninista ha proposto una soluzione scientifica al problema della correlazione tra la materia e la coscienza e ha messo la parola fine alla lunga controversia in proposito.
    Prima del marxismo alcuni filosofi avevano affermato il carattere materiale del mondo ma, nonostante la loro spiegazione materialistica dei fenomeni naturali, si esprimevano da idealisti sui fenomeni sociali. La concezione materialistica della storia del marxismo ha assestato un colpo decisivo all’idealismo e ha segnato la vittoria decisiva del materialismo.
    Il marxismo-leninismo a precisato che la società si evolve secondo una legge, e non secondo qualche mobile mistificato o secondo la volontà di un «superuomo», ma in funzione del progresso del modo di produzione, indicando che la società poggia sulle condizioni di vita materiali, fondate sul modo di produzione dei beni materiali. Questo importante principio filosofico ha segnato una svolta fondamentale nello sviluppo delle concezioni del mondo. Le visioni idealistiche sulla società sono state così escluse una volta per tutte. I marxisti dicevano che gli idealisti avevano perduto il loro ultimo rifugio. Quella sembrava una giusta valutazione relativa alla portata della concezione materialistica esposta da Marx, giusta nei limiti delle condizioni storiche.
    Anche dopo questa delucidazione materialistica dell’evoluzione storica, l’idealismo non è stato soffocato, bensì restaurato sotto una nuova forma, antropologica, basata soprattutto sulla deformazione della natura dell’uomo. Ciò ha posto un nuovo problema: l’uomo, essere che vive nel mondo, doveva esser delucidato nella sua vera natura, così come il mondo, su una base scientifica, senza di che non gli sarebbe stato possibile riplasmare il proprio destino né farla finita con l’idealismo.
    Fin dall’inizio dell’era dell’imperialismo i filosofi idealisti si sono gettati sul problema della «natura umana» per respingere il marxismo che lasciava scorgere, per così dire, un «vuoto» in questo ambito.
    L’esistenzialismo, l’utilitarismo, il freudismo, il personalismo e le altre filosofie borghesi moderne, accanendosi contro la natura dell’uomo, giustificano le guerre di spartizione delle colonie, la politica d’apartheid, l’omicidio, lo stupro, la corruzione, la dissolutezza, il pessimismo, la depravazione, l’erotismo, il culto del denaro, l’individualismo, l’egoismo, ecc. Il problema della natura umana è stato per parecchi millenni argomento di controversia fra numerosi filosofi, senza pervenire a una delucidazione scientifica, conditio sine qua no del chiarimento dei princìpi per forgiare il destino dell’uomo.
    Il marxismo ha esaminato l’uomo nelle sue relazioni sociali e, in questo modo, ha smentito le affermazioni idealistiche sull’uomo. Tuttavia non ha potuto arrivare a mettere in luce la vera natura dell’uomo. È necessaria una delucidazione scientifica che illumini la via per forgiare il destino dell’uomo, insieme con la posizione e il ruolo che gli spettano nel mondo.
    (Ko Pong, Il faro, Edizioni in lingue estere, Pyongyang, 2006, pp. 10-12)

    I classici e i divulgatori del marxismo si trovarono a difendere il materialismo storico dai rigurgiti dell’utopismo e dall’apologia del capitalismo motivata dalla sua conformità a una presunta natura umana immutabile, metafisica o biologica che sia, facendo notare che l’avvicendamento dei vari modi di produzione escludeva l’esistenza di una natura umana sovrastorica. Era un’argomentazione giusta ed efficace, ma molti marxisti la portarono all’estremo, sulla base di una discutibile interpretazione delle Tesi su Feuerbach, fino a negare l’esistenza della natura umana in genere, interamente “dissolta” del divenire storico. Era una strada suicida: se la natura umana non esiste e l’uomo può essere manipolato all’infinito, allora il capitalismo che ci ha trasformato in consumatori acefali e rammolliti ha vinto in partenza. Inoltre così viene scartato un intero tema del pensiero di Marx, quello dell’alienazione, che implica un concetto della natura umana la quale viene appunto alienata; e senza la teoria dell’alienazione ci si priva della facoltà di giudicare la vita, del criterio assiologico per scegliere di schierarsi coi lavoratori anziché coi capitalisti, giacché resta solo l’asettica descrizione positivistica dei processi economici. E infine, una volta “smentite” le ipotesi di Marx (uso le virgolette perché a rigor di termini non si tratta di ipotesi false, ma sono intervenute nuove condizioni in esse non previste che hanno alterato l’esito della «tendenza storica dell’accumulazione capitalistica»), si può tranquillamente tornare nel gregge capitalista.

    CITAZIONE
    Io non supporto affatto l’ideologia gender. Al contrario, mi sembrava di essere stato chiaro, ne respingo completamente tesi e obiettivi.

    Meno male. :D

    CITAZIONE
    Non voglio fare il bacchettone ma mi fa strano leggere di essere “seguace” di Stirner. Probabilmente l’hai scritto solo per farti capire :D Ne sono contento comunque

    Vedo che hai ben colto lo spirito di quel pensatore. ;)

    Edited by Sovetskiy 1917 - 9/11/2017, 23:10
258 replies since 2/3/2013
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